Proteste di piazza in mezza Italia: è finita la tregua?/Pm, Ruby e Mubarak: 10 anni fa Montecitorio umiliato per salvare B.
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Non solo bar – Anche la cultura fa la fame
di Patrizia De Rubertis | 7 APRILE 2021
A metà pomeriggio, mentre in piazza Montecitorio la polizia sta facendo una carica di alleggerimento per contenere il nuovo tentativo dei manifestanti di sfondare il cordone che li separa dai palazzi del potere, il senatore ex M5S Gianluigi Paragone, tra i sostenitori della manifestazione organizzata a Roma, esulta. Dice che la sua Italexit “viaggia intorno al 4%”. La giornata di tensione per la protesta di ambulanti, commercianti e ristoratori in tutta Italia che hanno bloccato l’autostrada a Caserta, mandato in tilt il traffico a Milano e, soprattutto, causato il ferimento di un agente (diversi i contusi) durante i tafferugli nella Capitale, diventa altro. A spiegare che non si tratta più della contestazione di migliaia di lavoratori alla canna del gas, che dopo un anno di restrizioni anti-Covid chiedono di riaprire, sono fonti investigative che parlano di “infiltrati” di “diversi gruppi di estremisti” che avrebbero avuto l’obiettivo di strumentalizzare il disagio sociale e far salire la tensione”. A Roma, in piazza, si contano centinaia di no mask, militanti di CasaPound e altre organizzazioni di estrema destra. Sfila pure un ristoratore modenese vestito come Jake Angeli, tra i protagonisti dell’assalto a Capitol Hill (e attualmente in carcere). È alla fine di un comizio di Vittorio Sgarbi, che parla di “Stato criminale” e di “un governo che coltiva la malattia, perché le chiusure non hanno ridotto i morti”, che un gruppo di associazioni chiama di nuovo allo sfondamento del cordone di polizia. E subito riprendono il lancio di fumogeni e di altri oggetti verso gli agenti. Ai ristoratori in piazza, quelli pacifici, non resta altro che ricordare tra le lacrime che sono “allo stremo”, che rischiano di “non riaprire più”, che si sentono “abbandonati dallo Stato” e che la nuova tranche di ristori prevista dal dl Sostegni è “ridicola”. Nelle stesse ore anche a Milano più di un centinaio di persone si sono ritrovate davanti alla stazione centrale per chiedere di poter riprendere subito a lavorare. Ci sono soprattutto gli ambulanti che protestano contro l’esiguità dei ristori. Dicono che “il tempo della pazienza è finito”. Nel tardo pomeriggio un corteo si è mosso verso la prefettura dove una delegazione è stata ricevuta tra qualche momento di tensione, senza disordini, ma con pesanti ripercussioni sul traffico. Solo all’ora di cena, dopo quasi dieci ore, è stato invece rimosso il blocco realizzato nel tratto casertano dell’A1 Roma-Napoli da parte degli operatori mercatali che hanno ricevuto rassicurazioni dalla delegazione che si trovava a Roma.
Ieri intanto l’organizzazione “Mi Riconosci? Sono un professionista dei beni culturali” ha pubblicato i dati di un sondaggio che su un campione di 1800 lavoratori del mondo della cultura e del turismo prova a fare un bilancio dell’ultimo anno. Meno della metà (787 persone) ha ancora un lavoro, tra cassa integrazione e perdite, mentre 283 lo hanno perso (26%), di cui metà non percepisce alcun sussidio. Crollano i lavori nel turismo (20%), le prestazioni occasionali (16%) e gli impieghi dello spettacolo (16,5%). Più della metà di chi occupa ruoli di responsabilità nei beni culturali ritiene che non si potrà ricominciare come prima, riduzione di personale e di compensi. Il 38% non è per nulla soddisfatto degli aiuti ricevuti durante la pandemia, stessa percentuale di chi vede buone prospettive per il settore a patto che si preveda una riforma strutturale. “La pandemia ha falciato ogni attività museale – dice uno degli intervistati – Lo stop a marzo 2020 è stato improvviso e inaspettato. Alcune ditte con cui collaboro hanno additato la situazione pandemica come causa del rallentamento dei pagamenti delle fatture. Leggere che nessuno è stato lasciato a casa aggiunge la beffa al danno. Non solo la categoria è stata pesantemente danneggiata, ma risulta invisibile. Quello slancio che, nonostante tutto, mi spingeva a lavorare, si sta ora incrinando”.
Pm, Ruby e Mubarak: 10 anni fa Montecitorio umiliato per salvare B.
Aprile 2011 – la camera votò per bloccare l’indagine, credendo alla versione di Berlusconi
di Lorenzo Giarelli | 7 APRILE 2021
Di tutti i modi per sfuggire ai propri processi, quello che Silvio Berlusconi mise in scena il 5 e il 6 aprile di dieci anni fa fu senza dubbio il più teatrale. Dovendo umiliare il Paese, decise di farlo in grande, convincendo 314 deputati a votare che sì, il presidente del Consiglio aveva telefonato alla questura di Milano per far liberare una ragazzina di 17 anni, conosciuta come Ruby Rubacuori, perché convinto fosse la nipote di Hosni Mubarak, presidente dell’Egitto.
Il giorno dopo, la prima udienza del processo sarebbe durata pochi minuti, quelli necessari a formalizzare il rinvio a maggio inoltrato nell’attesa che la Corte costituzionale decidesse sul conflitto d’attribuzione sollevato dalla Camera. Ma più che della storia di quel processo – dopo la condanna in primo grado, B. fu assolto anche grazie alla modifica del reato di concussione – è l’indelebile e surreale verdetto del Parlamento a meritare l’imperitura meritoria.
La seduta, appunto, è quella del 5 aprile 2011. Il centrodestra è a pezzi da mesi, con Gianfranco Fini uscito dal Pdl e l’Italia che fa la triste conoscenza dello spread. Silvio coopta tutti i suoi ministri, che si presentano come alunni disciplinati sui banchetti del governo a Montecitorio, dove si decide se la Procura di Milano possa indagare il premier o se non sia il caso di spedire tutto alla Consulta, invocando il trasferimento degli atti al Tribunale dei ministri. Dietro il tecnicismo c’è però una domanda semplice semplice: Berlusconi ha telefonato in questura per risolvere i fatti suoi o per scongiurare una crisi diplomatica?
La Camera, 314 voti contro 302, vota per la seconda ipotesi. Decisivi sono proprio i ministri, molti dei quali nei tre anni precedenti non hanno messo piede in aula. Ci sono Umberto Bossi, Angelino Alfano, Giulio Tremonti, Renato Brunetta, Giorgia Meloni, Michela Vittoria Brambilla, Franco Frattini. C’è pure il provato onorevole Lucio Barani: “Sono qui anche se cinque giorni fa mi hanno ricoverato per la tachicardia”.
Il sempre esuberante Antonio Di Pietro prende la parola: “Berlusconi ha scelto Montecitorio per non andare a San Vittore”. Il responsabile Silvano Moffa sbeffeggia l’opposizione: “Non riesce a liberarsi da un antiberlusconismo di maniera, agitando un gretto moralismo”. Il meglio, va detto, lo aveva dato un paonazzo Maurizio Paniz qualche seduta prima: “Berlusconi ha telefonato a un funzionario della questura. Lo ha fatto senza esercitare pressioni di sorta per chiedere un’informazione, nella convinzione, vera o sbagliata che fosse, che Karima el Mahroug fosse parente di un presidente di Stato”.
Al momento del voto, arrivano in soccorso a Silvio due liberaldemocratici, Italo Tanoni e Daniela Melchiorre, centristi d’opposizione. Il primo, intervistato dal Corriere, assicura di aver fatto “una scelta ponderata”: “Ma non ho chiesto soldi a Berlusconi”. La Melchiorre invece diventa subito sottosegretaria allo Sviluppo economico, non ottiene i gradi da viceministra e se ne va dopo il primo Cdm, sconcertata dalle “incredibili dichiarazioni” di Berlusconi contro i magistrati milanesi, definiti “un cancro da estirpare”.
Un po’ per pudore, un po’ per amore della suspense, i due libdem nascondono il proprio voto coprendo i pulsanti con l’altra mano. Pier Luigi Bersani sbotta: “Avete umiliato l’Italia, il Parlamento ormai è un collegio difensivo allargato”. Berlusconi si sente un martire e paragona i pm alle Brigate rosse (“brigatismo giudiziario”, secondo un virgolettato di Repubblica). Il giorno dopo, il Fatto racconta “la bramosia di sottomissione” di centinaia di deputati disposti “a sostenere la più idiota delle menzogne”; Repubblica parla di “degradante disonore” per il Parlamento; l’Unità pubblica i 314 nomi di “quelli che credono che Ruby sia la nipote di Mubarak”. Il Giornale, invece, se la cava con un enigmatico riquadrino a fondo pagina: “La Camera respinge i giudici e vota il conflitto d’attribuzione”. E vista così, sembra quasi una giornata qualunque.
FONTE: IL FATTO QUOTIDIANO
(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)
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