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Perché i sondaggi di Draghi sono in calo
La conferma è arrivata con il sondaggio di Nando Pagnoncelli sul Corriere della Sera: i numeri di Mario Draghi e del suo governo sono in flessione. Secondo Ipsos, il presidente del Consiglio passa in un mese dal 69 al 62% (-7 punti), l’esecutivo dal 62 al 56% (- 6). Pagnoncelli lo definisce un “rimbalzo tecnico”, ma le cifre dei principali istituti demoscopici confermano lo stesso trend: Draghi è partito da livelli di fiducia molto alti, ma nel primo mese ha disperso una parte di quel patrimonio politico. Le ragioni possono essere molteplici: l’esagerata esaltazione iniziale, le difficoltà nella campagna vaccinale, la mancanza di “rivoluzioni” e una sostanziale continuità nella gestione della pandemia rispetto a chi lo precedeva. Abbiamo chiesto il parere di sei autorevoli osservatori e studiosi della politica italiana.
Doping Il consenso del premier era stato “drogato” dai media
Nando Pagnoncelli sul Corriere definisce il calo di gradimento di Mario Draghi e del suo governo “un rimbalzo tecnico”. Di sicuro i primi numeri del premier erano “dopati”. Gonfiati da una prevalente stampa, che aveva gridato al miracolo, laddove di miracoloso non ci si può aspettare niente dalla politica contemporanea. Era stata creata un’aspettativa esagerata, come se con un tocco di bacchetta magica, semplicemente mettendo al posto di comando l’uomo della provvidenza, gli enormi problemi del nostro sistema amministrativo potessero essere risolti in un colpo. Può spiegare questo tipo di atteggiamento solo l’ostilità che aveva sempre animato gli atteggiamenti del giornalismo mainstream nei confronti di Conte e del suo governo. Io credo che sia stato fatto un cattivo servizio a Draghi stesso, esposto a un inevitabile rimbalzo che non definirei “tecnico” ma in qualche misura di credibilità politica. Dobbiamo aspettarci in futuro un ulteriore calo di fiducia, perché il sistema politico-amministrativo italiano è destinato a infilare altre défaillance.
Marco Revelli
Non è un dio Paga le aspettative altissime e il caos dei vaccini
È naturale che chi governa si trovi a fare i conti con promesse che non possono essere mantenute subito. Gli italiani hanno aspettative molto alte di una normalizzazione che ancora non può arrivare. E poi Mario Draghi non è una divinità. Il premier soffre dell’esaltazione con cui è stata raccontata da molti media la sua entrata in campo. È stato presentato come salvatore della patria, uomo della provvidenza, ma non può essere nessuna di queste cose. Troppe aspettative, e troppo grandi, si scontrano con una realtà che invece se ne va per conto proprio. Penso Draghi sia un uomo che sa quello che vuole e non si faccia condizionare da queste esaltazioni. È il Sistema Italia che è in crisi, paga la schizofrenia pluralistica delle Regioni, quando invece in una “fase di guerra”, come ha detto il premier, bisognerebbe remare insieme. Le notizie che arrivano sulla campagna vaccinale non aiutano. In alcuni territori non si è scelta la via naturale – il criterio dell’età – ma si sono privilegiate classi sociali e interessi organizzati. Poi ci sono gli errori dell’Europa: i contratti disastrosi con le cause farmaceutiche.
Nadia Urbinati
Senza un piano Molti speravano avesse una strategia più chiara
I numeri di Draghi sono in calo perché sembra che gli manchi un progetto. Non c’è un cronoprogramma, una pianificazione che faccia capire quali siano le intenzioni del governo nel lungo periodo. Draghi era partito con una credibilità enorme, era vissuto come un manager di successo, un uomo d’azione che prende in mano la situazione e segue un piano chiaro, preciso. Invece la percezione è che un piano preciso non esista. Nel breve termine, l’azione di questo governo è proseguita sulla falsariga del precedente, anche in quelli che erano percepiti come punti di debolezza. Si naviga a vista, ci si affida al quotidiano, al day by day. L’attesa nei confronti di Draghi resta molto alta, ora ci si aspetta una strada da seguire. Magari c’è già, ma lui non la comunica. Così viene a cadere l’elemento di rassicurazione che aveva garantito numeri di consenso elevatissimi al premier. Poi c’è un altro fattore: nell’immaginario collettivo non esiste una squadra di governo omogenea, ma singoli ministri. Non trapela l’idea di una coesione, non c’è gioco di squadra.
Antonio Noto
Ritorno sulla terra Flessione naturale, stessi numeri di Conte
I sondaggi dicono che Draghi inizia a confrontarsi con un’opposizione politica che in Parlamento non esiste, ma nel Paese evidentemente sì, come è giusto e naturale che sia. La nascita del suo governo è stata avvolta in un cono mediatico quasi insultante per quanto servile: Draghi è stato presentato come un personaggio magico. Una percezione alterata della realtà. Quando si descrive e si connota così un personaggio pubblico, prima o poi è inevitabile che arrivi il confronto con la realtà, Draghi si dovrà incontrare o scontrare con un’insofferenza che è latente ma esiste nel Paese. Poi c’è la questione dei vaccini: una questione che se non dovesse essere risolta rischia di far scricchiolare non tanto Draghi, quanto l’intera impalcatura europea. Detto questo, la flessione del suo consenso è anche fisiologica, partiva da un numero davvero molto alto. La fase di “santificazione” è terminata, Draghi nei miei sondaggi è attorno al 57% della fiducia, alla pari con lui c’è Giuseppe Conte, che resta su numeri davvero alti, malgrado in questo periodo sia in una posizione laterale.
Roberto Weber
Incoerenza Aveva promesso altro rispetto all’ennesimo condono
Da cittadina semplice, credo che Draghi stia pagando la forte delusione dell’opinione pubblica su un tema specifico, quello del condono. Il premier aveva fatto un discorso alle Camere che aveva un punto di caduta fondamentale: la crisi della pandemia sarebbe stata affrontata in contemporanea alla crisi delle istituzioni, oggetto di un rinnovamento profondo. Draghi era stato molto chiaro sul fatto che i due processi sarebbero andati di pari passo, le sue parole su questo erano state nette, limpide. Sembrava davvero consapevole di ciò che fosse necessario per far tornare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni. Invece poi è arrivato l’ennesimo condono. È una grande ferita nella reputazione di Draghi, perché si riteneva che il premier avrebbe imposto una diversa interpretazione della dialettica tra governo e delle forze politiche. Si pensava che i partiti che avevano risposto all’appello del presidente della Repubblica avrebbero rinunciato a far pesare i rapporti di forza reciproci e avrebbero messo davanti a tutto le ragioni dell’emergenza. Invece non pare proprio così.
Roberta De Monticelli
Discrepanze Grande sostegno in Parlamento, meno in piazza
Non posso dire di essere sorpreso dalla flessione nel consenso di Mario Draghi. Il calo è tutto sommato limitato. Il premier fino a questo momento ha parlato ancora poco, ha espresso principi e auspici anche condivisibili, ma nei fatti non si vedono cambiamenti significativi. D’altra parte è difficile cambiare i fatti, non basta dire di essere competenti quando la realtà è così complessa e difficile da scalfire. I numeri dicono che Draghi e il suo governo hanno ancora un consenso superiore al 50%. Una cifra che resta positiva, ma bisogna considerare che questo esecutivo è appoggiato dall’85% dei parlamentari; una base impressionante, molto più larga del reale apprezzamento che c’è fuori dai palazzi. Non credo che la diminuzione nella fiducia in Draghi sia colpa della sua scarsa capacità comunicativa, penso invece sia responsabilità degli intermediari, cioè i giornalisti. Gran parte della stampa e dei media italiani hanno inscenato un’ovazione incredibile alla nascita del governo Draghi. Ora si inizia a vedere che quell’ovazione non riflette un eguale entusiasmo tra i cittadini elettori.
Gianfranco Pasquino
Cartabia copiativa
di Marco Travaglio | 28 MARZO 2021
Allacciate le cinture, perché “nelle stanze della ministra Marta Cartabia sta prendendo corpo la giustizia che verrà”, cioè “il Piano Cartabia: rivoluzione digitale e 16 mila assunzioni” (La Stampa). Un ciclone. E poi dicono che il cambio di passo non c’è. In un mese SuperMarta ha già scoperto che “occorrono grandi investimenti, migliaia di assunti, ristrutturazioni edilizie e massiccio ricorso al digitale”. E ha subito “destinato alla Giustizia circa 3 miliardi” di Recovery, mica bruscolini: per la precisione 2.750 milioni. Vista la cifra, ci ha assaliti il tipico déjà-vu che ti ricorda qualcosa ma non sai bene cosa. Fortuna che c’è Google: ma sì, era la relazione che l’ex ministro – parlando con pardon – Alfonso Bonafede doveva leggere in Parlamento il 28 gennaio, ma le opposizioni e Iv gli garantirono il voto contrario prim’ancora di ascoltarlo. E Conte si dimise. Si dirà: quelli erano i Peggiori, ora i Migliori ci avranno aggiunto un surplus di competenza. Infatti SuperMarta “stanzia 2,29 miliardi per 16.500 nuovi assunti a tempo determinato” nell’“Ufficio del Processo”. Invece quel pirla di Bonafede stanziava “2,3 miliardi in assunzioni a tempo determinato… di 16.000 addetti all’‘Ufficio per il Processo’”. Vabbè, dài, sarà una coincidenza. Infatti la Cartabia, furba, ha in mente “gli assistenti del giudice sul modello dei ‘clerks’” per “supportare il giudice” nella “ricerca dei precedenti giurisprudenziali e dei contributi dottrinali pertinenti”. Quel somaro di Bonafede, viceversa, s’era messo in testa di “supportare il giudice nello studio dei precedenti giurisprudenziali e della dottrina pertinente, sul modello dei ‘clerks’”. Ma vi rendete conto in che mani eravamo? Poi la Cartabia mette “426 milioni per ammodernare, ristrutturare o addirittura costruire palazzi di giustizia”. Fortuna che è arrivata lei, perché quel ciuccio di Bonafede metteva “circa 470 milioni” per “la realizzazione di nuove cittadelle giudiziarie e la riqualificazione delle esistenti”. L’abbiamo scampata bella. Il modello Cartabia prevede poi “83 milioni per la digitalizzazione degli archivi” con “data-center nazionali”, più “217 milioni per lo smart-working” e altri 50 in “intelligenza artificiale”. Figurarsi se veniva in mente a quel pirla di Bonafede, che infatti buttava le stesse somme per “digitalizzare gli archivi”, “data center (senza trattino, nda) nazionali”, “smart working (senza trattino, nda)” e “intelligenza artificiale”. I soliti malmostosi diranno che Cartabia copia Bonafede e la giustizia che verrà è quella che c’era prima. Ma ignorano le due leggi dei Migliori. La legge del cuculo, che s’imbuca nei nidi altrui e se ne fa bello. E la legge Chlorodont-Virna Lisi: la signora, con quella bocca, può dire ciò che vuole.
Vaccini-flop: appalto alla società segnalata da Anac per tangenti
Aria – La piattaforma da 22 mln
di Andrea Sparaciari | 28 MARZO 2021
Per costruire il suo portale vaccinale – quello che non funziona, ormai celebre per i bachi del sistema e le inefficienze, e che presto verrà sostituito da una piattaforma di Poste –, Aria, la centrale acquisti della Regione Lombardia, ha usato un fornitore della black list di Anac, perché coinvolta in un’inchiesta per tangenti. È Engineering Ingegneria Informatica, la società che per l’agenzia regionale – secondo quanto riferito dal neo amministratore unico Lorenzo Gubian, il 25 marzo scorso – si è occupata della somministrazione dei vaccini. E, ancora più grave, Aria ha affidato l’appalto – 22 milioni il costo finale del portale – l’8 febbraio 2021, 19 giorni dopo il warning inviato da Anac su Engineering a tutte le stazioni appaltanti italiane, datato 20 gennaio.
Per comprendere questa vicenda, bisogna tornare al 23 giugno 2020, quando la Procura di Milano arresta 13 persone con l’accusa di aver creato un “sistema di metodica alterazione di gare a evidenza pubblica indette da Atm” (l’Azienda di trasporto milanese, ndr). Gli inquirenti scoprono che il funzionario Atm Paolo Bellini aveva falsato almeno 8 gare: secondo l’accusa, alcuni fornitori avrebbero pagato tangenti. Tra gli arrestati, anche quattro manager di Engineering: Gerardo Ferraioli, Giovanni Rizzi, Carmine d’Apice e Carmine Rossin (ai domiciliari). Ferraioli e Rossin, per i pm, avrebbero concesso a Bellini uno stipendio da 1.000 euro al mese per tre anni e promesso ulteriori 120 mila euro in cambio di notizie segrete sulle gare. Nell’ordinanza di arresto, oltre alle 13 persone fisiche, compaiono anche le società, tra le quali Engineering “perché non adottava, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire la commissione dei reati”. A quel punto, Atm il 3 luglio 2020 risolve il contratto con Engineering (e con altre 6 società). La società non ci sta e ricorre al Tribunale civile. Ma il giudice, in una pre-sentenza, dà ragione ad Atm. Un precedente importante. Atm allora chiede ad Anac di inserire Engineering nella sezione “Annotazioni riservate” del casellario informatico, cioè nella lista – visibile solo dalle stazioni appaltanti – dove compaiono tutte quelle aziende che hanno avuto “criticità”. Anche qui Engineering si oppone, ma Anac dà ragione ad Atm. E il 20 gennaio la nota viene pubblicata online.
Il documento “non comporta l’immediata esclusione dalle gare pubbliche, ma consente alle stazioni appaltanti l’esercizio del discrezionale apprezzamento circa l’affidabilità del contraente”. Non un divieto a usare la società, ma certamente un chiaro avvertimento. Che però Aria non raccoglie. E infatti, l’8 febbraio, dopo il rifiuto di Poste di fornire il portale per la campagna vaccinale del Pirellone, Guido Bertolaso annuncia che si userà il sistema di Aria, realizzato da chi? Da Engineering. “Avremo il sistema informatico migliore d’Italia”, aveva detto il giorno prima trionfante il commissario. Come poi quella piattaforma sia naufragata sotto il peso dei disservizi, è cosa nota.
Cercando di difendersi dalle critiche, l’ex dg di Aria Gubian, aveva spiegato di aver usato Engineering perché storico fornitore dell’agenzia. Infatti Aria – che pur aveva inglobato Lombardia Informatica, la società che deve creare e gestire i sistemi informatici del Pirellone – appalta a Engineering quasi tutto, grazie ai bandi vinti negli anni con Consip. Gli oltre 500 dipendenti pagati dal Pirellone per agire come una innovativa software house (così l’assessore regionale Davide Caparini definì la nascente Aria nel 2019) producono però poco, spesso limitandosi a controllare i servizi appaltati a Engineering. Con la conseguente lievitazione dei costi. “È una scelta incomprensibile”, commenta la presidente della commissione regionale Antimafia e anticorruzione, Monica Forte: “Quando si maneggiano soldi pubblici, si deve assicurare la massima trasparenza”· “Dopo aver ripetuto che Aria è un carrozzone, possiamo dire che è anche un appaltificio da miliardi di euro e non si capisce cosa ci stiano a fare 500 dipendenti se è tutto in appalto”, aggiunge l’M5s, Marco Fumagalli.
La Russa fa entrare i fascisti in Senato per lo sfratto di FN
Istituzioni – Mercoledì il vicepresidente di Palazzo Madama ha accolto Fiore e Castellino. Che occupano le sedi di FdI
di Ilaria Proietti | 28 MARZO 2021
Senato, interno giorno: un mercoledì da leoni per Ignazio La Russa. Ché ha appena finito di incalzare in aula Mario Draghi sulla partita dei vaccini lo invita a far valere la sua autorevolezza in Europa. “Altrimenti – dice il numero 2 del partito di Giorgia Meloni – andrebbe benissimo un Conte qualsiasi”. Il clima si surriscalda, La Russa si svocia e ancora non è niente. Perché la giornata per lui è lunga: lo attende l’incontro con quelli di Forza Nuova che sono venuti a trovarlo in Senato dove è vicepresidente, giusto un gradino sotto Maria Elisabetta Alberti Casellati.
E allora ecco La Russa che fa accomodare i suoi ospiti nella saletta attigua all’ingresso principale di Palazzo Madama. Chi sono? L’ex europarlamentare Roberto Fiore, alle spalle una condanna poi prescritta per banda armata e associazione sovversiva. E Giuliano Castellino suo sodale in Forza Nuova e apostolo no-mask, a cui la questura di Roma ha inflitto la sorveglianza speciale con divieto di partecipare a pubbliche riunioni senza l’autorizzazione perché ritenuto soggetto pericoloso. Che ci facevano mercoledì a Palazzo?
Sono reduci da appena pochi giorni dall’occupazione della sede storica del Movimento sociale oggi assegnata a FdI di via Livorno a Roma. Al grido di battaglia, “è giunta l’ora di una nuova marcia che vede uomini e donne di nuovo uniti e decisi a riconquistare spazi”. Spazi che fanno litigare.
In via Livorno la faccenda si è chiusa bene, diciamo così. Perché subìto l’assedio, i meloniani avevano chiamato la polizia e si era temuto il peggio. Ma poi La Russa si era messo al telefono con Fiore e lo aveva convinto a sgombrare insieme a Castellino e a tutti gli altri. Con le buone e con la promessa di incontrarsi al più presto per risolvere una questione che si trascina da tempo: la sede di via Paisiello ai Parioli occupata da FN da anni e di cui la Fondazione di An vorrebbe al più presto rientrare in possesso.
Fiore non la molla. Forse lo farebbe sempre che la Fondazione (che ha in pancia un patrimonio ingente di lasciti e donazioni), si convincesse ad assegnargli un’altra sede. Certo non una qualunque: un posto che rappresenti qualcosa per la destra italiana.
“Prima di parlarne devono innanzitutto sgomberare via Paisiello che avevamo in origine concesso a Francesco Storace per ospitare la redazione del suo giornale. Storace poi ci aveva restituito le chiavi, ma nel frattempo l’immobile era stato occupato abusivamente da Forza Nuova. Per 17 volte l’ufficiale giudiziario ha tentato l’accesso: questo prima del Covid che ha bloccato tutto. Insomma, finora, per un motivo o per un altro non è stato possibile eseguire lo sfratto e vorremmo evitare di ricorrere alla forza pubblica”, dice La Russa, ripercorrendo la vicenda e le ragioni dell’incontro di mercoledì che a Palazzo Madama non è passato inosservato.
Perché a vedere Fiore e Castellino in compagnia di La Russa al Senato a qualcuno è venuto il sangue agli occhi. “Abbiamo lasciato i documenti e fatto i pass come fa chiunque altro che abbia un appuntamento. Del resto non è la prima volta che entro nei Palazzi, non capisco lo scandalo. Sono fascista, e allora?”, dice Castellino, che sulla trattativa in corso con La Russa non fornisce dettagli. Gli si scuce di bocca giusto l’indispensabile per capire l’aria: “Le sedi della Fondazione sono state donate alla comunità di destra per fare politica, non per altro. Noi di Forza Nuova con l’occupazione del 2011 abbiamo salvato via Paisiello dalla svendita: c’era il rischio che facesse la fine della casa di Montecarlo”. E l’incontro al Senato? “Direi un posto sordo e grigio, ma tant’è. Ho fatto tutti i controlli e firmato il foglio Covid. Il braccialetto elettronico? Il metal detector non ha suonato perché non ce l’ho: sono sorvegliato speciale mica sto ai domiciliari”.
Caso Azzolina, Bianchi revoca Vespa
Istruzione – Via dal Miur Il consulente del sottosegretario leghista denunciato dall’Ex ministra
di Virginia Della Sala |
Alla fine, il ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, ha chiesto di revocare l’incarico a Pasquale Vespa, neo collaboratore del sottosegretario leghista del ministero Rossano Sasso.
La vicenda riguarda l’ex ministra del Movimento 5 Stelle, Lucia Azzolina, oggi deputata. Nei mesi scorsi Azzolina aveva denunciato le offese e gli attacchi ricevuti via social da Vespa, di conseguenza imputato in un processo che inizierà a Napoli il 9 aprile. Vespa, ha spiegato ieri la ex ministra al Fatto, “ha portato avanti una campagna quotidiana contro di me. È un sindacalista e un precario che però non vuole il concorso, ma chiede quella sanatoria per cui da tempo i leghisti si battono”. È anche per difendere queste posizioni e, soprattutto come simbolo “anti-Azzolina”, che è arrivato al ministero. Nell’ultimo anno, infatti, l’attacco dei leghisti alla ex ministra sono stati costanti su tutti i fronti. “Sui social ha condotto una guerra contro di me con post sessisti e minacce, da cui poi scaturivano commenti volgari e di cattivo gusto. Ha contribuito a far sì che fossi messa sotto scorta” ha detto Azzolina, che Vespa ha chiamato per mesi “BoccaRouge”.
Secondo quanto riferito da Viale Trastevere, il ministro Bianchi ha prima chiesto al sottosegretario Sasso di valutare “attentamente e rapidamente” l’opportunità della nomina di Vespa. Il ministro, dicono, ha quindi ricevuto dal sottosegretario la disponibilità del professor Vespa a sospendersi dal suo incarico, in attesa del chiarimento della sua posizione (in teoria la fine del processo). Di conseguenza, il ministro ha dato mandato all’amministrazione di procedere alla revoca dell’incarico, durato in tutto 48 ore.
non si tratta solo di un atto amministrativo formale, ma dell’epilogo di quello che è il primo vero e proprio scontro all’interno dell’esecutivo di Mario Draghi. L’incarico, infatti, sarà revocato a un consulente che è chiamato al ministero da un sottosegretario della Lega. Senza contare che allo stesso Sasso è stata affidata la delega al bullismo e al cyberbullismo: un paradosso meraviglioso. Nei corridoi del ministero, il clima creato dalla Lega è evidente a molti: da un lato c’è il sentimento di “rivalsa” contro l’ex ministra tanto criticata e con le promesse ai precari di assunzioni semplici e sanatorie, dall’altro la chiamata nelle fila di collaboratori provenienti dai presidi territoriali del Carroccio nel tentativa di utilizzare il ministero per una “campagna elettorale” permanente attraverso il mondo della scuola. Una vera e propria bomba a orologeria.
Intanto, ieri Lucia Azzolina ha ringraziato il ministro: “Ha fatto la cosa giusta. Permettere al sottosegretario Sasso di assumere al ministero dell’Istruzione la persona che mi ha minacciato per anni – e che per questo è a processo– sarebbe stato un segnale terribile per la stessa comunità scolastica. Non è solo con le norme, ma anche con gli esempi e i comportamenti che si può aiutare la scuola a formare i giovani nel rispetto e nella tolleranza. In queste ore ho ricevuto affetto e solidarietà da tutto il M5S, ma anche da Pd e Leu, che ringrazio. Dispiace invece che il sottosegretario Sasso non abbia compreso la gravità della cosa e si ostini a difendere l’indifendibile”.
(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)
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