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DELITTO/GIOVENTU’ BRUCIATA A FORMIA IL PRESUNTO ASSASSINO AI DOMICILIARI
Domani l’autopsia sul 17enne ucciso Rissa di Formia. Agli arresti domiciliari il 16enne accusato di omicidio Secondo alcune indiscrezioni la vittima avrebbe difeso un suo amico Tweet Formia, ragazzo ucciso durante una rissa: fermato un minorenne Formia, minorenne muore accoltellato durante una rissa 19 febbraio 2021 I giudici del tribunale dei minori di Roma hanno convalidato il fermo per il ragazzo di 16 anni accusato di avere accoltellato e ucciso un coetaneo di 17 anni durante una rissa a Formia, vicino Latina. Il minorenne andrà ai domiciliari. Per domani è invece prevista l’autopsia sul corpo della vittima. Stando agli accertamenti medico-legali dei giorni scorsi e nelle prime fasi post delitto, il giovane sarebbe morto per aver perso molto sangue per le numerose coltellate. L’aggressore era stato fermato dalla Polizia di Latina poche ore dopo il delitto. Faceva parte di un gruppo di ragazzi arrivati a Formia per trascorrere la serata nella cittadina laziale. La lite con un altro gruppo di giovani del posto sarebbe scoppiata per futili motivi. Secondo le ricostruzioni fatte dagli inquirenti, la vittima avrebbe tentato di difendere un suo amico prima di essere accoltellato a morte. –
Buongiorno.
La cartina d’Italia, da domani, cambia di nuovo colore. Emilia-Romagna, Molise e Campania ritornano in “arancione” (da “gialle” che erano), mentre Lombardia e Lazio hanno evitato, almeno per una settimana, il declassamento. In “rosso” Perugia e alcune zone dell’Umbria. Il governatore emiliano, nonché presidente della Conferenza delle Regioni, Stefano Bonaccini, ha però convocato per oggi alle 17 un vertice dei presidenti regionali, dal quale potrebbe uscire la proposta di mettere al più presto tutta l’Italia in “arancione” per qualche settimana, per riportare sotto controllo le varianti del virus. La data chiave, spiega Fiorenza Sarzanini, sarà il 25 febbraio: quel giorno scade, salvo proroga, il divieto di spostamento fra una regione e l’altra. E Draghi farà capire qual è la sua linea per arginare la pandemia.
La prudenza continua a essere imperativa e a non avere colore. Le vittime italiane del Covid-19 hanno superato quota 95 mila, il tasso di positività è risalito al 5,2% e i vaccini continuano a scarseggiare (anche se dallo “Spallanzani” di Roma arriva qualche nota positiva su quello russo Sputnik: qui l’approfondimento di Lorenzo Salvia). Per dirla con le parole di un altro governatore regionale, il veneto Luca Zaia (intervistato da Monica Guerzoni): “Con queste quantità e questi ritmi riusciremo a vaccinare tutti gli italiani nel giro di tre o quattro anni”. Anche il G7, ieri, se ne è (pre)occupato (nella foto Ansa, Mario Draghi in video collegamento), speriamo che a qualcosa serva.
Intanto, a un anno dall’inzio dell’incubo, Simona Ravizza ha parlato con Mattia Maestri, passato alle cronache come il paziente 1; Cesare Giuzzi è tornato a Codogno, prima “zona rossa” d’Italia e Margherita De Bac ha intervistato Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di sanità, che confessa di piangere ancor per i morti della pandemia. Testimonianze da leggere e meditare.
La politica:
— Sul versante politico, tiene ancora banco il malessere (eufemismo) dei Cinque Stelle, sul quale riflettono Massimo Franco e Marco Imarisio (trovate i loro interventi più sotto). A finire sotto attacco è ora Vito Crimi, per le espulsioni di deputati e senatori che non hanno votato la fiducia a Draghi (sul sostegno al quale anche gli elettori grillini sono spaccati, come dimostra il sondaggio di Nando Pagnoncelli). Luigi Di Maio, intanto, sarebbe in corsa con Lucia Azzolina e Paola Taverna per il direttivo del Movimento.
Quanto a Matteo Salvini — ieri in udienza, con i neo-alleati di governo, per il caso della nave Gregoretti — la sua ambizione, secondo Francesco Verderami, sarebbe “colorare un governo che non ha colore” e sfruttare la scia del premier Draghi cercando di evitare di farsi troppo male. “Un’operazione rischiosa che richiede grande perizia, come spostare i bastoncini al gioco di Shanghai: un minimo errore e si passa la mano”.
Altre notizie importanti:
— Gli Stati Uniti sono rientrati negli Accordi di Parigi sul clima, che Donald Trump aveva rinnegato. Dopo aver chiesto scusa per quella retromarcia, John Kerry, che Joe Biden ha incaricato di occuparsi della questione climatica, ha promesso che dialogherà con la Cina.
— La Francia torna a interrogarsi sulla morte dell’attrice Marie-France Pisier. Il 24 aprile del 2011 venne trovata morta nella piscina della sua villa in Costa Azzurra, la testa incastrata in una sedia. Si parlò di suicidio. Ma Marie-France, 66 anni, era la sorella di Evelyne Pisier, moglie di Olivier Duhamel, il politologo che per anni abusò di “Victor”, uno dei tre figli che Evelyne aveva avuto dal precedente matrimonio con Bernard Kouchner. Di quelle violenze, iniziate quando “Victor” era tredicenne, la madre venne a conoscenza soltanto nel 2008, ma scelse di tacere. Alla notizia, scrive Stefano Montefiori, “Marie-France invece è furibonda, rompe con la sorella, vuole farla pagare al cognato e svergogna Duhamel nell’ampio giro di conoscenze parigine”. Poi quella morte, mai chiarita.
— In Germania fa scalpore l’ex capitano della Nazionale campione del mondo del 2014, Philipp Lahm, 37 anni, che ha suggerito ai calciatori gay di non fare coming out. Chi lo facesse, ha scritto Lahm in un libro appena uscito, “dovrebbe mettere nel conto che in molti stadi verrebbe fatto oggetto di insulti, offese e frasi diffamatorie: chi lo sopporterebbe e quanto a lungo?”. La sua conclusione è molto pessimista: “Mi sembra che attualmente nella Bundesliga ci siano poche chance di osare con successo un passo simile e uscirne senza danni personali”. “Per quanto espressa con empatia verso i calciatori gay e motivata da sincera preoccupazione per le eventuali conseguenze — scrive Paolo Valentino — la posizione di Lahm non è stata accolta bene. Anche perché negli stessi giorni dell’uscita del suo libro, il magazine 11 Freunde ha dedicato al tema del coming out nello sport la sua copertina, pubblicando l’appello di 800 calciatori e calciatrici, decisi a difendere le colleghe e i colleghi gay, che scelgono di dichiararsi tali” (appello preceduto da quello di 185 attori e attrici, di cui Elena Tebano aveva scritto nella nostra rassegna stampa).
— Nei giorni scorsi il Tar di Lecce, confermando un’ordinanza del sindaco di Taranto, aveva ordinato lo spegnimento degli impianti dell’area a caldo dell’Ilva, perché inquinanti, entro 60 giorni dalla pubblicazione della sentenza, avvenuta sabato 13 febbraio. Ieri il Consiglio di Stato ha respinto la richiesta di ArcelorMittal di sospensiva della sentenza con un decreto cautelare monocratico, stabilendo che la decisione venga presa in sede collegiale alla camera di consiglio del prossimo 11 marzo. Quello sarà il giorno decisivo, perché in caso di mancata sospensiva, entro il 14 aprile — prima, quindi, dell’udienza di merito fissata per il 13 maggio — gli impianti dell’area a caldo andranno spenti. Segnando, inesorabilmente, la fine dell’acciaieria.
Fatti di cronaca:
— Uccisa nel suo negozio di scarpe con trenta coltellate. Così è morta Clara Ceccarelli, 69 anni, in via Colombo, nel centro di Genova. Il suo ex, Renato Scapusi, 60 anni, è stato arrestato ieri a tarda sera dalla Squadra mobile. “Sono io l’assassino”, ha confessato. Da subito i sospetti si erano concentrati su di lui che da quando la loro relazione era terminata, circa un anno fa, perseguitava Clara.
— La Procura di Milano ha aperto un’inchiesta per «odio razziale» dopo le minacce e gli insulti online nei confronti della senatrice a vita Liliana Segre, 90 anni, la cui “colpa” sarebbe stata di farsi fotografare mentre riceveva il vaccino anti Covid, per invitare tutti gli over 80 a farsi vaccinare.
E’ stato il G7 degli esordi di Joe Biden e Mario Draghi. Un vertice segnato dalla frase del presidente Usa “America is back”, con la Casa Bianca impegnata a promettere agli alleati europei un nuovo patto atlantico. Una sfida che si misurerà soprattutto nella guerra al Covid. Il G7 ha varato un piano da 7,5 miliardi di dollari per garantire la diffusione dei vaccini anche nei Paesi poveri, perché – come ha sottolineato il premier italiano – “la salute è un bene globale”. E ha discusso degli stanziamenti per permettere all’economia di superare la crisi. Biden ha anche evidenziato la necessità di fronteggiare Russia e Cina, che “minacciano la nostra democrazia”. Il presidente della Commissione Ue Ursula Von der Leyen ha messo a punto il programma per potenziare le forniture di antidoti, facendo leva sul fatto che i brevetti sono stati finanziati con fondi dell’Unione. La consegna di milioni di dosi sarà anticipata al secondo trimestre, ma lo Sputnik russo non potrà ottenere l’autorizzazione dell’Ema perché Mosca ha vietato i controlli sugli stabilimenti di produzione.
Commenta Andrea Bonanni: “Il carisma di Draghi, non solo tra i leader europei ma anche presso Joe Biden che lo conosce dai tempi della Bce, è fuori discussione. Ma lo è anche la storica debolezza dell’Italia, da molti anni incapace di vera crescita e paralizzata da una macchina pubblica che non riesce a spendere i soldi né a rendere esecutive le leggi. E dunque se ieri tutti si sono congratulati con Draghi, molti si domandano se l’uomo che ha salvato l’euro riuscirà a salvare anche l’Italia e, con essa, la Ue”.
Nel nostro Paese i contagi continuano a crescere e da domani le Regioni in zona arancione diventeranno otto. Anche il divieto di spostamento tra Regioni sembra destinato a essere prorogato fino al 5 marzo. Tre procure intanto indagano sui misteriosi mediatori che hanno offerto vaccini anti-Covid agli uffici regionali. Giuliano Foschini e Fabio Tonacci hanno intervistato uno di questi broker, Juri Gasparotti: “Sono io che ho offerto le dosi AstraZeneca all’Emilia Romagna. Non sono un truffatore, i vaccini li posso far arrivare. Nel mercato dei farmaci, le aziende concorrenti possono opzionare l’acquisto di stock di medicinali da chi li produce. Vale anche per i vaccini anti-Covid. È tutto legale, funziona da sempre così”.
Tito Boeri e Roberto Perotti analizzano le ipotesi per la riforma del Fisco alla luce dell’ostacolo creato dalle dimensioni del debito pubblico. E propongono di cominciare “con l’utilizzare appieno solo gli 82 miliardi della componente sovvenzioni del Next Generation EU e rinunciando per ora (abbiamo tempo fino al 2023 per ripensarci) alla parte a debito. Questa è una scelta che Spagna e Portogallo hanno fatto, e anche la Francia sembra avviata su questa strada”. Una scelta che risolverebbe anche il problema di individuare “come spendere utilmente tutti i 209 miliardi del Next Generation EU”.
Maria Novella De Luca invece affronta un altro tema: “Draghi ha indicato, tra i servizi da rilanciare, anche i consultori e i centri di salute mentale. E colpisce (favorevolmente) che un premier appena incaricato sia stato così preciso nel segnalare due reti sanitarie tra le più importanti, ma anche tra le più trascurate e ignorate della storia italiana degli ultimi decenni. Con il coraggio di parlare della categoria più scomoda: i malati di mente, i pazienti psichiatrici, i “matti” insomma, novecentomila persone che sembrano scomparse dall’agenda di tutti i ministri della Sanità”.
Nel governo si intensifica la partita per nominare i sottosegretari. Matteo Salvini ha annunciato il ritorno della Lega al ministero dell’Interno: “D’ora in poi commenteremo i fatti e non le ipotesi: con Draghi continuità alla nostra politica sull’Immigrazione”. Una pretesa che rischia di aprire una crepa nella maggioranza, alla luce degli scontri sulla materia tra Lega e Pd.
Stefano Cappellini ripercorre “la parabola del populismo italico contemporaneo: da Di Pietro è partita e a Di Pietro finisce. È il simbolo in naftalina dell’Italia dei valori, il Gabbiano, animale noto nella Capitale per la sua bocca buona, che potrebbe permettere di fare gruppo autonomo in Parlamento ai dissidenti grillini che non vogliono morire draghiani, loro che Draghi e il Bilderberg e Soros e la Spectre li hanno combattuti come i tupamaros la Trilateral e Sibilia le scie chimiche. Sarebbe quasi la rivincita del puro epurato dai più puri, non fosse che ormai è difficile distinguere tra vincitori e vinti”.
A cinquant’anni dalla morte, Natalia Aspesi prende spunto dal libro di Annarita Briganti per raccontare “Coco Chanel, una donna del nostro tempo, coraggiosamente, con una venerazione inedita, mondandola di ogni peccato impostole dalla sua epoca, facendone una esemplare eroina per le donne di oggi; non una rivoluzionaria primo novecento, ce ne furono tante, ma una geniale donna che del suo tempo è riuscita a sfruttare le poche occasioni che permettevano alle donne di liberarsi, affrancarsi, rendersi autonome in ricchezza e fama: immortali”.
Paolo Condò passa in rassegna la nuova generazione di stelle della Champions League che pretende il trono di Messi e Ronaldo. Non solo Mbappé e Haaland ma anche ventenni di talento come Alphonso Davies, Leroy Sané, João Felix, Gigio Donnarumma, Phil Foden, Marcus Rashford.
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Nel magnifico mondo di Michele Serra – quello della Satira preventiva sull’Espresso – gli onorevoli grillini si chiamano tutti Di Gino, Di Pippo e Di Ciccio, e in effetti il grande capo dei governisti si chiama Di Maio e il grande capo degli epurati si chiama Di Battista. Ma la trama si infittisce.
Gli epurati, per costituire un gruppo autonomo al Senato, hanno chiesto il simbolo dell’Italia dei Valori, partito fondato giustappunto da uno che si chiama Di Pietro. Il livello è altissimo: in altre ere geologiche, più o meno una decina d’anni fa, Beppe Grillo considerava Di Pietro l’unico politico con cui avere a che fare, poiché era il leggendario pm di Mani pulite e intendeva portare onestà, trasparenza, pulizia, redimere la sinistra, recludere la destra e in specie Berlusconi, moralizzare le imprese, abbattere le lobby e tutte quelle belle robe lì.
E infatti Di Pietro è l’unico politico delle terre emerse con cui Grillo non si è ancora alleato. Ci si alleò invece il Pds di Massimo D’Alema quando (nel 1997) lo candidò al Mugello, e sebbene gli sfidanti fossero due persone serie e colte come Sandro Curzi e Giuliano Ferrara, poiché è per tradizione ormai antica che il maggior partito della sinistra fiuta il populismo come un cane da trifola.
Una scelta coraggiosa, la definì D’Alema, finito due decenni e mezzo dopo, insieme con Pierluigi Bersani, a battersi con Giuseppe Conte, e a rimpiangerlo pure davanti a Mario Draghi. Siamo passati dal coraggio alla temerarietà, strada in fondo alla quale – prodigio – ricompare la figura riemersa dall’oblio del favoloso protogrillino, Di Pietro, ovvero Di Nuovo.
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