Omicidio di Simonetta Cesaroni, caso da riaprire con umiltà: lapidario il criminologo Lavorino
Delitto di Via Poma, parla il criminologo Carmelo Lavorino: “riaprire il caso”.
Intervista all’autore del libro che racconta il groviglio di errori degli Inquirenti: a oltre 30 anni dalla morte, l’assassino di Simonetta Cesaroni resta un fantasma.
Karma e prosecco di Paola Orrico
Mi capita spesso di pensare a Simonetta Cesaroni, uccisa barbaramente in una giornata d’agosto di moltissimi anni fa (7 agosto 1990); il suo delitto mi sconvolse per tutta una serie di fattori di vicinanza: era una mia coetanea, una ragazza con la testa sulle spalle che trovò la morte mentre stava svolgendo il suo lavoro in un labirintico studio di un imponente palazzo romano semi deserto in cui nessuno ha mai riportato di aver udito o sentito nulla.
Eppure come disse il padre di Simonetta: “L’assassino è nelle carte” e lì ci è restato per trenta anni, protetto da un fortunoso groviglio di errori ed imprecisioni che lo ha fatto scappare alla giustizia degli uomini mentre ha continuato imperterrito a fare la sua vita.
La banalità del male (cit.) che ritorna nel identikit di un assassino che l’ha massacrata con una ferocia cieca ed insaziabile.
Di Simonetta restano le iconiche immagini di una ragazza dallo sguardo maturo su una spiaggia assolata mentre fissa un punto indefinito, come se sentisse di non poter restare troppo su questa terra.
Ho intervistato il Professor Carmelo Lavorino – noto criminologo e luminare – che si è occupato anche di questa vicenda.
Carmelo Lavorino ha scritto cinque libri sul delitto di Via Poma, una cinquantina di saggi; è stato consulente della difesa di Federico Valle imputato e prosciolto per il delitto.
È stato consulente per la Taodue del film Il giallo di Via Poma regista Roberto Faenza, ha rilasciato molte interviste sul caso.
Il regista Roberto Faenza lo ha definito “Un misto di Csi, Criminal Mind, Edgar Allan Poe e Sherlock Holmes”.
È considerato l’esperto numero uno del caso di “Via Poma”: il “Number One”. L’ultimo suo libro è intitolato One. Via Poma. Inganno strutturale.
Si è interessato professionalmente di oltre duecento casi omicidi, dai delitti del Mostro di Firenze e il processo a Pietro Pacciani a quelli di Via Poma, del serial killer Donato Bilancia, di Cogne, di Arce (vittima Serena Mollicone), del piccolo Tommaso Onofri, a morti equivoche.
Attualmente è il consulente della Difesa della famiglia Mottola, imputata per il delitto di Arce; della famiglia Mondello per la morte di Viviana Parisi e Gioele Mondello (giallo di Caronia); per alcuni omicidi camuffati da suicidi quali le morti del brigadiere Salvatore Incorvaia in provincia di Monza, della giovane Glenda Alberti in provincia di Savona, di Marcella Leonardi Pacciarella in Ciampino-Roma.
Il prof. Lavorino ha due progetti per il caso di Via Poma
Il libro “ONE. Via Poma. Inganno strutturale” di Carmelo Lavorino.
“Un’edizione nuova che uscirà a maggio (2021) e una rappresentazione teatrale.
Sta organizzando un’opera teatrale il cui filo conduttore è il libro Inganno strutturale: Massimo Amedei attore autore regista ha voluto trattare il caso dell’uccisione di Simonetta Cesaroni attraverso lo strumento rappresentativo senza barriere o pregiudizi, provando a raccontare i fatti accaduti con crudo realismo, mettendo in risalto le macerie prodotte dagli inquirenti, dalla stampa e dall’opinione pubblica: ha unito analisi criminalistica-criminologica a metafora teatrale.
La rappresentazione teatrale sarà messa in scena con una compagnia formata da sei attori provenienti da Mondo in Scena”.
Professor Lavorino, ci sono speranze che il caso di via Poma venga riaperto?
“Il delitto di omicidio non è mai prescritto. Il caso si deve riaprire per dare giustizia alla vittima, ai familiari e al popolo italiano.
Questo vale per Simonetta Cesaroni e per tutti gli altri casi irrisolti e/o con un innocente in carcere e il colpevole in libertà. Comunque, per Via Poma ci sono piste e linee investigative da seguire, sinora rimaste buie per lo strabismo e la scarsa fantasia degli inquirenti”.
Il delitto di Simonetta Cesaroni è stato compiuto parecchi anni fa, la tecnologia era quel che era, parimenti al suo impiego nella ricerca della verità, però indubbiamente qualche errore è stato fatto…
“Nel giallo di Via Poma hanno sbagliato tutti gli Inquirenti, siano essi poliziotti, carabinieri, pubblici ministeri e consulenti di qualunque tipo. Tutti si assolvono e quando arriva il momento dell’autocritica guardano dall’altra parte.
Stranamente gli inquirenti non hanno individuato tutti quegli elementi fortissimi, essenziali e determinanti per la giusta linea investigativa, così come hanno commesso errori incredibili.
Ecco gli elementi da me indicati sin da subito:
L’assassino ha colpito Simonetta per trenta volte con la mano sinistra: la prima alla tempia destra con uno schiaffo circolare, dall’esterno all’interno; poi ha pugnalato per 29 volte la ragazza con un tagliacarte dell’ufficio, sferrando tutti i colpi sempre con la mano sinistra. Invece gli Inquirenti hanno scommesso sin dall’inizio, erroneamente, che l’assassino avesse usato la mano destra e non sono capaci di tornare indietro.
L’assassino ha il sangue gruppo A DQAlfa 4/4. Difatti, ha sporcato il telefono col proprio sangue di gruppo A DQAlfa 4/4, ma il Pubblico ministero Pietro Catalani per anni si è ostinato a ritenere che il sangue fosse di gruppo 0, cioè quello della vittima, invece il sangue sul telefono è gruppo A. Attenzione: la Corte d’appello e la Cassazione sono perentorie: il sangue sul telefono è di gruppo A con DQAlfa 4/4, non è della vittima… quindi ho ragione io e non il Pm Catalani. Ed anche il sangue sulla porta è gruppo A con DQAlfa 4/4 (in altissima) probabilità, e non, invece, come è stato ritenuto superficialmente, DQAlfa 1.1/4. E questo la dice lunga su tutto!
L’arma del delitto è il tagliacarte di Maria Luisa Sibilia, quel tagliacarte che sino le ore 15 era scomparso dalla scrivania della Sibilia (rientrata quella mattina dalle ferie). Tagliacarte poi rinvenuto dai poliziotti sulla scrivania della Sibilia (dove sino le 15 non c’era), tagliacarte lavato con varechina e poi sistemato. È ovvio che il tagliacarte fosse sulla scrivania della stanza del delitto e che è stato lavato dopo l’omicidio, però, chi lo ha lavato e rimesso a posto, non sapeva che il tagliacarte sino al momento del delitto non era sulla scrivania della Sibilia, ma su quella di Bizzochi.
L’assassino ha avuto un complice pulitore rassettatore. Chi ha lavato il tagliacarte per poi rimetterlo a posto non è l’assassino, ma è un suo complice, un soggetto che ha provveduto alle pulizie nel fase post mortem e post delictum, cioè, nella fase “after crime”. Ovviamente l’assassino non ha avvertito il complice pulitore che il tagliacarte lo aveva preso dalla scrivania di Carboni e non da quella della signora Sibilia: questo prova che il pulitore conosceva la disposizione degli oggetti dell’ufficio e i loro proprietari, ma non che la mattina fosse stato cercato invano dalla signora Sibilia: quindi che un territoriale del condominio e un frequentatore dell’ufficio AIAG che la mattina non era presente in ufficio. Le ferite su Simonetta e le caratteristiche del tagliacarte sono totalmente compatibili. Certamente il pulitore non è l’assassino, quindi hanno agito due persone diverse. Difatti, il soggetto pulitore è arrivato in seguito ed disposto il top di pizzo sangallo sul ventre della povera ragazza, e il top non si è sporcato perché il sangue si era asciugato.
Il pulitore è la persona che ha cancellato le impronte digitali sulla scena, che dopo il delitto ha deposto sul ventre nudo e martoriato di Simonetta il suo top di pizzo bianco per motivi di pietà e per chiedere scusa alla vittima: è la persona che ha organizzato il depistaggio iniziale.
Assassino e complice hanno un rapporto molto stretto, altrimenti il secondo non avrebbe coperto il primo assumendosi fortissimi rischi. L’assassino è nelle carte, ma le carte sono come la scena del crimine e come il corpo della vittima: parlano.
Ma hanno un linguaggio speciale, misterioso, nascosto, silente, che bisogna sapere comprendere, interpretare ed elaborare con freddezza, scienza, intelligenza e creatività. Cosa che nella realtà investigativa purtroppo non si è verificata.
Caratteristiche dell’assassino. Soggetto che usa la mano sinistra per sferrare schiaffi e pugnalate, con sangue gruppo A DQAlfa 4/4, con alibi traballante dalle 16 alle 17:30, che ha tentato una sommaria pulizia e che poi si è eclissato; assassino con complice pulitore territoriale e conoscitore dell’ufficio di Via Poma, che interviene dalle 18 a seguire. All’epoca dei fatti quarantenne, sicuramente sposato, che poteva accedere nell’uffico AIAG con chiavi procuratesi con facilità e/o con stratagemmi.
La trappola delle telefonate. Le telefonate avvenute fra le 17.15 e le 17.40 fra una ragazza che diceva essere Simonetta e la collega Luigia Berrettini (le due non si conoscevano), fra la Berrettini e Salvatore Sibilia e la moglie di questi, Anita Baldi sono una trappola per la verità e sono il frutto di un abilissimo, organizzato e fine imbroglio. Tre i casi: 1) la ragazza non era Simonetta; 2) le telefonate non ci sono state; 3) le telefonate sono da anticipare di almeno un’ora.
L’orario della morte. Simonetta è stata uccisa prima delle 17, non dopo le 18. L’autopsia del medico legale sotto questi aspetti è molto carente, tanto che non vennero prese le temperature cadaveriche ed esterne, non venne analizzato il contenuto gastrico della vittima e, purtroppo, il medico legale cadde nella trappola della falsa notizia “Simonetta viva sino le ore 18 circa in virtù delle telefonate”, così ritenendo ingenuamente che la morte ci fosse stata dopo le 18, se non, addirittura, volutamente strabico”.
Passiamo agli errori investigativi, oltre a quelli prima citati ve nono una marea. Eccoli:
“Il primo errore del team investigativo fu puntare come assassino il portiere Pietrino Vanacore, così tutti lavorarono solo per incastrarlo: tutti erano convinti della sua colpevolezza e tanto volevano/dovevano dimostrare!
Addirittura questo gruppo investigativo cadde nella trappola infernale a incastro delle telefonate “Simonetta Cesaroni – Luigia Berrettini – Salvatore Sibilia – Anita Baldi” che spostavano la morte di Simonetta dalle 18 a seguire.
E così crebbero e prosperarono errori che un gruppo investigativo serio, efficiente e organizzato qual era non avrebbe mai permesso che si verificassero, eccoli: un sopralluogo superficiale, assolutamente non approfondito e certosino; poche fotografie della scena del crimine e non ossequiose delle regole del sopralluogo; non fissazione dell’orario che l’orologio della vittima mostrava (sic!!!); il computer di Simonetta fu lasciato alla portata di tutti e non sappiamo se vi siano state manipolazioni; le interviste investigative non furono dure, penetranti e inchiodanti, nemmeno lavorarono a 360 gradi; gli alibi di molti soggetti vennero controllati superficialmente e/o mal controllati; si verificò il misterioso ritrovamento dell’agendina rossa di Vanacore (chi, dove, quando, come, perché, in che modo?) e la sua scomparsa; ci fu la sparizione di molti reperti; altri reperti vennero abbandonati per anni nei cassetti, basti pensare che i calzini, il reggiseno e il topo vennero inseriti in un’unica busta e rinvenuti circa quindici anni dopo (sic!!!); le macchie di sangue di Simonetta nell’ascensore scoperte dopo tre settimane (chi attuò questo depistaggio?); nessuno cercò di capire quale fosse stato il tragitto del tagliacarte assassino sino la scrivania di Carboni; le indagini furono realmente inadeguate.
Diciamo che gli errori sono stati tollerati (tanto secondo loro l’assassino era il portiere Pietrino Vanacore e tutto era a posto) perché l’importante era difendere alcuni personaggi dell’AIAG da cattiva pubblicità ed evitare che si conoscessero le attività di collaborazione dell’AIAG col Sisde. Per fare ciò hanno permesso un caos organizzato, tanto l’assassino era stato preso (Vanacore), poi, a errore assodato con Vanacore prosciolto, le cose presero una brutta piega: il Pm Catalani si era fossilizzato sull’assassino destrimane e che il sangue sul telefono fosse della vittima (quindi gruppo 0) e non dell’assassino (gruppo A) e nessuno poteva contestarlo o indirizzarlo sulla giusta via; il medico legale ovviamente gli dava ragione e non ammetteva i propri errori; i depistatori mai e poi mai avrebbero ammesso di avere chiuso gli occhi”.
Secondo me hanno imbrogliato e barato, omesso informazioni, depistato e rallentato le indagini, diverse persone per scopi diversi. Mi spiego
“Ognuno ci ha messo del proprio. L’assassino ha depistato e mentito. Il complice pulitore ha depistato ulteriormente ed ha alterato la scena del crimine e gli oggetti.
I protettori dei segreti dell’AIAG hanno attuato e favorito il lavaggio delle informazioni investigative, i depistaggi, le omissioni, i rallentamenti, le deviazioni, i ritardi, i pressappochismi, le superficialità, gli errori et similia.
E lo hanno fatto nel breve e medio termine NON per coprire l’assassino, ma per coprire i segreti dell’AIAG e l’immagine di qualche dirigente.
Questi protettori dei segreti dell’AIAG che nel mio libro Inganno strutturale chiamo “Il Burattinaio e la Manina Manigolda” hanno certamente pensato: “Tanto l’assassino è del condominio e con altissima probabilità è del portierato, anzi è il portiere, quindi, proteggiamo i nostri collaboratori”.
Professore, che idea si è fatta di Simonetta?
“Per l’attività che svolgo, delle vittime posso e devo formarmi idee solo del tipo professionale, proprio quelle utili alla soluzione del caso ed allo studio del modus operandi: quelle idee che chiamiamo ‘derivanti dalla vittimologia’. Sicuramente era una ragazza limpida, solare, allegra, gioiosa, con i problemi normali di una ragazza normale.
Non credo che Raniero Busco, il fidanzato della vittima, sia l’assassino. Non credo che Federico Valle, il nipote dell’ingegnere e il figlio dell’avvocato, sia l’assassino. Non credo che il portiere Pietrino Vanacore sia l’assassino; invece, ritengo che sia morto suicida”.
Se il delitto fosse stato compiuto oggi, secondo lei con tutte le tracce lasciate sul luogo del delitto, all’epoca..
“Con i mezzi odierni all’epoca odierna il colpevole si sarebbe trovato: DNA, tracce dei cellulari, dei computer, delle videocamere e di altra tipologia avrebbero sicuramente inchiodato il soggetto ignoto e il suo complice pulitore”.
Ma siamo ai giorni d’oggi, viceversa, ed il nome dell’assassino di Simonetta è ancora nell’ombra. Lei vede qualche luce all’orizzonte? Si metterà mai la parola “fine”a questa vicenda?
“Se seguono le mie indicazioni sì, se continuano a navigare nel mare della superbia e della spocchia, guidando la nave del ‘Io sono io, e voi non siete un c…o’ assolutamente no.
Dovrebbero essere umili ed ammettere che chi li ha preceduti ha sbagliato: potrà mai accadere questo?”
(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)