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Giovedì 21 gennaio
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USA: Tutto il mondo guarda al giuramento del neo presidente Biden |
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Elena Tebano, redazione Digital (editorialista) |
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Buongiorno. Ieri Joe Biden ha prestato giuramento ed è diventato il 46esimo presidente degli Stati Uniti.
Pochi minuti prima di lui ha giurato la vicepresidente Kamala Harris: la prima donna (e la prima persona non bianca) nei 231 anni di storia degli Stati Uniti.
Donald Trump ha salutato gli americani con una promessa che sembra una minaccia (“Torneremo in qualche modo”), ma la sua presidenza si è chiusa definitivamente: è stata la più impopolare degli ultimi 40 anni, macchiata da un crescendo di strappi istituzionali, fino alla sobillazione all’insurrezione.
Al neo presidente Biden, il più anziano di sempre, tocca ora un compito difficile: riunire un Paese diviso come non mai, rafforzare le sue istituzioni minate e farlo riprendere da un’epidemia che ha causato oltre 400 mila morti, ferendo gravemente l’economia.
Questo è “il giorno dell’America, della democrazia”, ha detto ieri Biden nel discorso di insediamento. “Il popolo ha parlato, la democrazia ha prevalso” ma ora “va protetta”, ha aggiunto.
Tra i suoi primi atti c’è una serie di decreti per rimediare ai danni fatti dall’amministrazione Trump su ambiente, migranti ed epidemia.
Le altre notizie:
— Ieri il premier Giuseppe Conte ha fatto visita al capo dello Stato Sergio Mattarella per un colloquio sulle sorti del governo dopo l’uscita di Italia viva dalla maggioranza.
Conte, nonostante la fiducia incassata, sa di dover allargare o rafforzare la sua maggioranza, con alcuni mutamenti nella compagine di governo (il cosiddetto “rimpasto”), perché i numeri attuali non gli permettono di andare avanti in tranquillità: rischia che l’attività legislativa venga bloccata nelle commissioni, dove non ha i voti sufficienti.
Se non ci riuscirà si potrebbe andare al voto in tarda primavera, perché Pd e 5 Stelle, al momento escludono nuove alleanze con Renzi senza Conte, esecutivi tecnici, di scopo o di unità nazionale.
A chiedere di andare a votare subito è invece la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni: “È irresponsabile andare avanti con un governo che sta in piedi grazie al voto di voltagabbana attratti da promesse e prebende di ogni tipo, echeggiate perfino nel discorso di Conte in Aula: abbiamo assistito a un mercimonio” dice nell’intervista al Corriere.
— Il parlamento intanto ieri ha votato quasi all’unanimità lo scostamento di bilancio, l’autorizzazione che il governo deve chiedere alle Camere per fare un debito maggiore rispetto alle previsioni: serviva a finanziare con altri 32 miliardi di euro i “ristori” per i danni del Covid all’economia.
— Il piano di vaccinazione anti Covid dell’Italia rischia di subire variazioni: le 61,8 milioni di dosi di Pfizer e Moderna non arriveranno nei tempi previsti.
Il Lazio ha già chiesto di sospendere la somministrazione delle prime dosi.
— Il Tribunale amministrativo regionale (Tar) in Campania ha disposto la ripresa delle lezioni per gli alunni di quarta e quinta elementare, come già era successo in Lombardia per le superiori.
In Liguria gli studenti delle superiori torneranno in aula lunedì (al 50 per cento): la Regione ha aperto alle istanze dei genitori che anche in quel caso hanno fatto ricorso al Tar ( con la prospettiva di vincerlo). Stessa decisione nelle Marche.
— La Procura di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio di quattro agenti dei servizi segreti egiziani per l’omicidio di Giulio Regeni. La trappola che hanno teso al giovane ricercatore italiano, ucciso al Cairo nel 2016, emerge dalle loro stesse dichiarazioni.
— Il telefono di Benno Neumair, istruttore di fitness 30enne di Bolzano indagato per le accuse di aver ucciso i genitori Peter Neumair e Laura Perselli, con cui era in conflitto, e di averne occultato i cadaveri, è stato spento per una mezz’ora la sera della loro scomparsa, il 4 gennaio (la cronaca di Giusi Fasano sul sito).
I carabinieri hanno trovato tracce di sangue nella sua auto, che aveva portato in un autolavaggio.
— La Juventus ha vinto la Supercoppa, battendo il Napoli a Reggio Emilia grazie a un gol di Ronaldo e uno di Morata: è il primo trofeo per l’Andrea Pirlo allenatore. Qui le pagelle della partita.
Da non perdere:
— Il podcast Corriere Daily (che potete ascoltare qui). Massimo Rebotti prova a rispiegare da capo che cosa è successo nella settimana più assurda della politica italiana, con la crisi di governo sfiorata e poi evitata grazie alla risicata fiducia ottenuta dal governo al Senato martedì sera.
A seguire Sara Gandolfi racconta una delle storie che compaiono nella newsletter Mondo capovolto: quella della sorella di un uomo che un tempo è stato tra i più famosi del mondo e di cui non si sente più parlare da tempo. Ovvero il subcomandante Marcos.
— Il nuovo numero di Corriere Salute, in edicola oggi. Il dossier di questa settimana è dedicato alle teorie complottiste degli anti vaccinisti. Un fenomeno non certo nuovo, ma che la pandemia ha amplificato.
Quale meccanismo scatta nella mente di chi rifiuta la scienza ufficiale ma allo stesso tempo è disposto a dare credito a teorie senza fondamento?
Perché è più facile immaginare una trama occulta che accettare una realtà magari scomoda, ma dimostrata con metodo scientifico?
Tra i temi di questo numero anche come reagire di fronte agli adolescenti che fanno uso di stupefacenti; i benefici della mindfulness per evitare l’eccessivo uso di antidolorifici nei pazienti in cura per l’emicrania cronica; la app che aiuta gli anziani affetti da fibrillazione atriale a prendere le pillole giuste al momento giusto; la guida al rimborso fiscale per i dispositivi di protezione antivirus (dalle mascherine ai gel).
Qui sotto le analisi e gli approfondimenti.
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C’è un solo anno per provare a curare questa America |
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Massimo Gaggi (editorialista) |
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Quella che dovrebbe essere la regola di ogni leader, per Joe Biden sarà una sfida mozzafiato: mettere l’America al riparo dalla pandemia, ricostruire un’economia devastata da un anno di semiparalisi, restaurare e ridare credibilità a istituzioni democratiche seriamente lesionate da Donald Trump.
Il nuovo presidente dovrà farlo col fiato sul collo di una parte consistente del Paese convinta che lui sia arrivato al potere in modo fraudolento.
E dovrà realizzare il suo programma a passo di carica: davanti a sé ha una finestra utile di poco più di un anno. La storia dice che i presidenti quasi sempre perdono le elezioni di midterm successive al loro insediamento alla Casa Bianca.
Quelle del 2022 saranno particolarmente tormentate, con molti parlamentari arrivati ormai a fine corsa o destabilizzati dalla radicalizzazione politica che sta scuotendo tanto i repubblicani quando i democratici. Deputati e senatori, costretti a difendersi, oltre che dagli avversari del fronte opposto, anche dagli sfidanti del loro partito alle primarie, saranno in campagna elettorale già tra poco più di un anno.
Mentre cerca di riconquistare la fiducia degli americani, il vecchio Biden dovrà, quindi, correre.
È partito già ieri coi primi decreti esecutivi su sanità, immigrazione, tutela dell’ambiente e riduzione del debito che pesa sugli studenti.
Il compito che ha davanti è proibitivo: ieri ha parlato col cuore a un’America ferita, si è detto certo che, nonostante la crisi devastante nella quale sono caduti, gli Stati Uniti riusciranno a tornare al loro ruolo di baluardo della democrazia e della libertà, di Paese-guida del mondo, grazie alla capacità, dimostrata più volte nella loro storia tormentata, di far prevalere i «migliori angeli» anche nei momenti più difficili.
Stavolta sarà molto più dura: mentre la Cina continua a crescere e sfrutta i varchi geopolitici lasciati aperti dalla crisi americana, Biden eredita una nazione invecchiata, scossa nell’economia e nelle istituzioni, vittima di una polarizzazione che ha paralizzato il Congresso e dato spazio a forze antidemocratiche.
Paradossalmente, in un’era in cui le opinioni pubbliche di tutto il mondo detestano gli establishment, la migliore carta nelle mani del presidente sembra essere proprio la sua esperienza di governante e senatore di lungo corso.
Biden ha già scelto tutti gli uomini principali della sua amministrazione e conosce come pochi strumenti di governo e dinamiche parlamentari: potrà agire subito e non dovrebbe ripetere gli errori commessi 12 anni fa quando, a fianco di un Obama vincitore assoluto delle elezioni, venne ben presto messo con le spalle al muro dal Congresso.
Gli oltre trent’anni trascorsi in Senato gli consentono di dialogare anche con gli avversari al di fuori degli schemi formali.
Il suo predecessore gli ha lasciato un percorso cosparso di macerie: l’America vive nell’incubo di possibili rivolte e del terrorismo interno.
Ma proprio l’esasperazione prodotta dagli eventi della turbolenta fase finale della presidenza Trump, culminati nell’assalto al Congresso, potrebbero aiutare Biden a ottenere, almeno in una prima fase, la collaborazione di buona parte dei parlamentari conservatori. |
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Le scelte di leader e partiti: una difficile stabilità |
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Paolo Mieli (editorialista) |
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Chi avrebbe mai immaginato a giugno del 2018 che un avvocato cinquantenne di Volturara Appula, sconosciuto ai più, nel giro di due anni e mezzo avrebbe messo Ko i due giovani pugili più talentuosi della politica italiana?
È accaduto. Anche se il 27 ci sarà una possibile rivincita. Nell’agosto del 2019 è toccata a Matteo Salvini. Adesso a Matteo Renzi.
Sappiamo benissimo che la partita decisiva si giocherà nelle urne quando si terranno le elezioni.
Ma al momento si può affermare che Giuseppe Conte, sia pure con qualche inevitabile ammaccatura, è uscito vincitore dai rischiosissimi match con i «due Matteo».
E l’intero Parlamento da ora in poi dovrà smettere di sottostimare le sue capacità.
Nel primo scontro, quello dell’estate ’19, Conte prese in contropiede l’avversario Salvini mettendo sul tavolo un’alleanza M5S-Pd. Alleanza all’epoca inimmaginabile ma che in realtà era stata preparata da tempo.
Quell’intesa parve allora nascere da un’iniziativa di Renzi, ma molti già a quei tempi sapevano che il senatore di Rignano non aveva fatto altro che intestarsi un progetto messo a punto da Dario Franceschini.
Il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, in quei giorni pose come unica condizione che, per decenza, a guidare il nuovo governo non fosse lo stesso presidente del Consiglio che aveva guidato il gabinetto con la Lega condividendone ogni iniziativa. Ma non ottenne soddisfazione.
Nei mesi seguenti, Zingaretti si ricredette su Conte e, anzi, scoprì che si poteva presentarlo come il «nuovo Prodi», un leader adatto a guidare l’intero centrosinistra nelle future tornate elettorali.
A quel punto si mosse l’altro Matteo deciso a disarcionare il presidente del Consiglio prima che prendesse definitivamente corpo il disegno di cui si è detto.
Provò, Renzi, a spintonarlo già all’inizio del 2020. Ma non trovò alleati per quella manovra e il Covid gli offrì l’occasione per battere in ritirata. Due volte.
Ai primi dello scorso dicembre Renzi è partito per l’offensiva finale con più di un buon argomento – in particolare i ritardi sul piano italiano per il Next Generation Eu – ritenendo di avere l’avallo del Pd e del M5S.
I due partiti, però, a metà strada lo hanno lasciato solo. Nessuno, eccezion fatta per i suoi sodali (e neanche tutti), dopo Natale lo ha più incoraggiato ad aprire la crisi.
Neanche coloro che avevano condiviso i suoi rilievi al presidente del Consiglio.
Non c’è stato neanche un osservatore esterno che abbia considerato appropriata la decisione di ritirare la delegazione ministeriale di Italia viva dal governo Conte. (Qui l’articolo completo) |
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Meloni: “È un governo retto da voltagabbana e senza i numeri. Le urne sono la via” |
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Paola Di Caro (editorialista) |
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Davanti a un governo che si regge «su un mercato delle vacche, che però fatto da loro diventa una “boutique delle chianine”», Giorgia Meloni non vuole «dare per scontato che il capo dello Stato si accontenti di fare solo da spettatore».
Anzi, spera che «come altri suoi predecessori eserciti la sua moral suasion» e valuti se esistono le condizioni per sciogliere le Camere.
Lei non rinuncia ai toni forti, ma il governo ha ottenuto la maggioranza…
«Al di là delle interpretazioni di parte, la situazione è chiara: il governo perde un pezzo della sua maggioranza, chiede la fiducia e non ottiene né la maggioranza assoluta per governare in un momento tanto delicato, né quella dei presenti: sommando i no e gli astenuti e un presente che non partecipa al voto, siamo 157 a 156 che non votano la fiducia».
E si aspetta le dimissioni?
«In un mondo normale succede così. Il governo Berlusconi nel 2011 si dimise ottenendo alla Camera sul voto di Bilancio una maggioranza di 308 voti. Ed era un esecutivo scelto dagli elettori con un premier da loro indicato, non uno a capo di una coalizione di forze che si sono combattute in campagna elettorale, un signore di cui gli italiani non conoscevano l’esistenza prima che ricevesse tale incarico».
Sta dicendo che non è un governo legittimo?
«Sto dicendo che è irresponsabile andare avanti con un governo che sta in piedi grazie al voto di voltagabbana attratti da promesse e prebende di ogni tipo, echeggiate perfino nel discorso di Conte in Aula: abbiamo assistito a un mercimonio, tra le righe si leggevano nomi e cognomi di quelli a cui chiedeva aiuto in cambio di qualche rassicurazione.
Un assoluto scandalo, che danneggia anche l’immagine del Paese». (L’intervista completa sul sito del Corriere) |
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Dai dissidenti di Italia viva ai centristi di Tabacci. Le prove del nuovo gruppo per Conte |
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Alessandro Trocino (editorialista) |
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Si riparte dalle tre grandi famiglie politiche citate dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte, quelle popolari, liberali e socialiste.
Tre famiglie che però hanno un paio di problemi: sono poco numerose in Parlamento e soprattutto sono difficilmente conciliabili.
Già, perché la maggioranza cerca disperatamente una quarta gamba che si aggiunga a Pd, M5S e Leu, dopo la defezione di Iv.
La fiducia in Senato – appena 156 voti – non basta per una navigazione tranquilla e allora ci si dà un paio di settimane per creare un’alchimia magica tra ex 5 Stelle, profughi di Forza Italia, socialisti, liberali, eletti all’estero.
Tutti uniti, non proprio appassionatamente, per creare un nuovo gruppo di costruttori, cercando senatori che siano presenti anche nelle Commissioni, che altrimenti rischiano di paralizzare l’azione delle Camere.
Il perno centrale di questa formazione potrebbe essere il Centro democratico di Bruno Tabacci. Alla Camera – dove sono necessari almeno 20 deputati per costituire un gruppo – ha già 13 membri.
Al Senato non c’è ancora, ma il simbolo potrebbe essere messo a disposizione da Tabacci.
L’idea è quella di dare vita a una forza «contiana», centrista, europeista e antisovranista.
La scatola, dunque, si può trovare senza troppa difficoltà, ma poi bisogna trovare il modo di riempirla di contenuto.
Anzi, come dice Andrea Causin, espulso da Forza Italia per aver votato la fiducia: «Prima dobbiamo trovare il materiale umano, poi penseremo al nome».
Il «materiale umano» è scarso ed eterogeneo.
Da Palazzo Chigi sperano in un effetto domino dal gruppo di Forza Italia, dopo gli arrivi di Causin e di Mariarosaria Rossi, la cui defezione non aveva solo motivi personali ma anche politici e che sembra promotrice di un progetto più ampio.
Si parla di quattro senatori: Barbara Masini (che continua a smentire), Luigi Vitali, Anna Carmela Minuto e Maria Virginia Tiraboschi.
Usciranno dal gruppo? «Senza accusare nessuno, però, come diceva don Abbondio, il coraggio se uno non ce l’ha non se lo può dare», dice Causin. Oltre al drappello indeciso di Forza Italia, c’è quello dei dissidenti di Italia viva. E ci sono i due Udc Paola Binetti e Antonio Saccone. (L’articolo completo sul sito del Corriere) |
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I vantaggi di rinviare il richiamo del vaccino anti Covid |
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Il nostro piano di vaccinazioni rischia di subire delle variazioni.
Solo da Pfizer e Moderna avremmo dovuto avere 61,8 milioni di dosi nel corso dell’anno, ma i 40,5 milioni di vaccini di Pfizer non arriveranno nei tempi previsti e nemmeno i 21,3 milioni del vaccino Moderna, gli altri quattro (AstraZeneca, Sanofi-GSK, Curevac, Johnson & Johnson) non sono ancora autorizzati.
Ma per uscire da questa emergenza dovremmo poter vaccinare prima dell’estate il maggior numero di persone possibile, un po’ come si sta facendo in Inghilterra dove hanno già vaccinato più di 4 milioni di persone con una prima dose di Pfizer- BioNTech. |
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“Telefonate, controlli, video. Gli 007 egiziani hanno mentito su Regeni”. I pm di Roma chiedono il rinvio a giudizio per quattro di loro |
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Giovanni Bianconi (editorialista) |
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La trappola mortale in cui è caduto Giulio Regeni è svelata – almeno in parte – dalle dichiarazioni degli stessi uomini accusati di averla organizzata.
Negli interrogatori resi da uno dei quattro militari egiziani ora imputati del sequestro e dell’omicidio del ricercatore friulano, ad esempio, sono contenute affermazioni reticenti, non credibili e a volte contraddittorie che la Procura di Roma considera indizi di una sua diretta responsabilità.
Contribuendo alla richiesta, firmata ieri dal procuratore Michele Prestipino e il sostituto Sergio Colaiocco, di processare il generale Tariq Ali Sabir, già ai vertici della National security agency e da poco trasferito a incarichi amministrativi; il colonnello Athar Kamel Mohamed Ibrahim, già capo del Servizio investigazioni giudiziarie del Cairo; il colonnello Uhsam Helmy, anche lui funzionario della National security come il maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif.
Proprio il colonnello Sharif – accusato anche delle torture e della morte di Giulio, gli altri solo del rapimento – è stato interrogato cinque volte dalla Procura generale egiziana, tra il 2016 e il 2018.
La sua versione dei fatti sembra cucita per sminuire il proprio ruolo, e sostenere che la National security ha svolto solo regolari e normali indagini a carico di uno studente italiano che si comportava in maniera strana, poi prosciolto da ogni sospetto; stessa tesi della magistratura del Cairo, che s’è pubblicamente dissociata dalle conclusioni dei pubblici ministeri di Roma.
Ma proprio quei verbali, trasmessi all’Italia e allegati agli atti del procedimento, mostrano seri dubbi sulla ricostruzione fornita dall’Egitto. Sharif dice che fu il sindacalista Mohamed Abdallah a denunciare «uno straniero che stava svolgendo un’indagine sui venditori ambulanti, e temeva che lo sfruttasse per ottenere informazioni dannose nei confronti dello Stato. Questa persona è Giulio Regeni».
Il generale Sadiq decise di approfondire il caso e Sharif racconta: «Io ho collaborato con Abdallah per arrivare alla verità dei fatti».
Però fu il sindacalista, «di sua propria iniziativa», a carpire informazioni sul bando per il finanziamento di 10.000 sterline da parte della società britannica Antipode, anche «fingendo che le sue condizioni finanziarie fossero difficili e che avesse bisogno di soldi per curare la moglie e la figlia». Sharif dice che la video-registrazione del colloquio tra Abdallah e Regeni del 7 gennaio 2016, quando il ricercatore italiano ribatte bruscamente alle richieste di denaro, fu un’iniziativa del sindacalista: «Propose di registrare gli incontri attraverso il suo telefono cellulare e portarmi le registrazioni per assicurarmi la sua sincerità».
Abdallah afferma il contrario, e la conferma arriva dalla sua telefonata alla sede della National security in cui – terminato il colloquio con Giulio – chiede agli agenti di andare a toglierli di dosso la microtelecamera e il microfono che avevano installati sui suoi vestiti. (L’articolo completo sul Corriere di oggi) |
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La ragazza vittima di Genovese: “Così provano a screditarmi” |
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Più tenta di schivare notizie e immagini che possono ricacciarla indietro nel tempo e nello spazio, più Francesca ripiomba in quello che chiama «il mio incubo» in casa di Alberto Genovese.
È l’effetto ridondante della Rete che amplifica ogni cosa, come le «accuse» di essere una escort che si è inventata tutto perché vuole i milioni del mago delle startup, dimenticando che ci sono ore e ore di video delle 19 telecamere installate nell’appartamento che, secondo l’accusa, certificano didascalicamente la brutalità della violenza che ha subito e che hanno portato il 43enne a San Vittore.
«Ho la sensazione di dovermi continuamente difendere. Potrebbe essere un’occasione valida per affrontare il tema della violenza sessuale, invece c’è chi si scaglia contro di me» dice, scossa, la modella diciottenne.
(…) In tv si è presentata anche una giovane donna, Giulia Napolitano, la quale, mentre Giletti l’ammoniva ad assumersi la responsabilità di quello che stava dicendo, ha raccontato di aver incontrato nell’estate 2018 Francesca, che allora aveva quindi 16 anni, che «si spacciava per maggiorenne» in una festa in Sardegna, alla fine della quale la stessa Francesca si sarebbe «appartata» con un uomo.
La modella 18enne ha un sorriso sarcastico: «Non la conosco, non so chi sia. Quell’estate sono stata con i miei genitori in Croazia. Ho decine di foto.
In Sardegna sono andata la prima volta l’anno scorso con due amici, c’era anche la mamma di uno di loro». L’avvocato Liguori ha querelato tutti per diffamazione.
E poi c’è Genovese il quale, nell’inchiesta dei pm Rosaria Stagnaro e Paolo Filippini, coordinata dall’aggiunto Letizia Mannella, ha messo a verbale che, dopo aver assunto cocaina insieme (come ha detto la stessa ragazza) e dopo un primo rapporto sessuale consenziente, Francesca gli avrebbe proposto: «Dammi 3.000 euro e puoi fare quello che vuoi».
Genovese avrebbe accettato per fare sesso estremo. La ragazza replica: «Non avevo alcuna volontà di stare con lui.
Io e l’amica con la quale ero andata alla festa a Terrazza sentimento volevamo andare via subito. Lui ci stava addosso insistente, ci dava fastidio.
Poi sono stata drogata da Genovese e mi sono trovata in camera da letto. Se avessi voluto soldi, non sarei andata via lasciando lì tutto, vestiti compresi, e non avrei fermato la Polizia per strada». (L’articolo completo sul sito del Corriere) |
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Un Ciampi piccolo piccolo |
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Massimo Gramellini
(editorialista) |
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La nuova maschera si chiama Lello Ciampolillo, il senatore espulso dai Cinquestelle per dissidi ideologici (non pagava le quote), quello che voleva combattere il batterio della Xylella con il sapone e il Covid senza il vaccino, l’erede della stirpe degli scilipoti, dei razzi e, ormai possiamo dirlo, dei ciampolilli.
Fino all’altra sera Ciampolillo era noto negli ambienti orwelliani per avere messo la sua residenza parlamentare in una porcilaia e, prima ancora, presso un tronco d’ulivo, poi espiantato contro la sua volontà.
Pur di non farsi espiantare la poltrona, ha votato sul filo di lana a favore del governo che aveva sempre criticato sui social.
Grazie al suo scatto trafelato, il Senato ha potuto sperimentare il brivido del Var: le telecamere hanno certificato che il soccorso dei ciampolilli era arrivato in tempo utile. Utile soprattutto a lui.
Ci si domanda perché Ciampolillo abbia atteso l’ultimo istante per salvare la pelle a Conte.
«Ero indeciso», ha spiegato, «ma in extremis ho sentito dentro di me che dovevo pensare al bene di questa Nazione». Proviamo a immaginare quel momento epico.
Mentre i suoi colleghi stanno votando da ore, in un angolo buio dell’emiciclo Ciampolillo pensa al bene di una Nazione. Solo che non riesce a ricordarsi quale.
Poi la folgorazione: «Questa!», e si butta nella mischia per farsi notare e, nel caso, ricompensare.
Gradirebbe il ministero dell’Agricoltura, ma l’Agricoltura si è così spaventata che ha richiesto l’intervento del Var.
(Qui la raccolta dei Caffè) |
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