Meccanismi del danno del virus nell’uomo
Il nostro medico Carlo Alfaro, Dirigente Medico di Pediatria presso gli Ospedali Riuniti Stabiesi, spiega la reazione di orientamento del virus del corpo umano
A un anno di distanza dall’identificazione del Sars-CoV-2, il nuovo Coronavirus che ha provocato la pandemia da Covid-19, centinaia di migliaia di studi condotti alacremente dagli scienziati di tutto il mondo ci hanno fatto comprendere molti aspetti dei suoi micidiali meccanismi patogenetici, ovvero crescita e progressione della malattia, che per alcuni versi restano però un mistero, configurandolo come qualcosa di unico e sorprendente nella storia della Medicina.
Per entrare all’interno delle cellule del corpo, Sars-CoV-2 si avvale principalmente dell’Enzima di Conversione dell’Angiotensina 2, ACE2 | Angiotensin-Converting Enzyme, che fornisce l’aggancio sulla membrana cellulare alla proteina di superficie S (spike) del virus.
Questi recettori sono ampiamente espressi sia sulle cellule epiteliali delle vie aeree superiori- rino- e oro-faringee, attraverso le quali il virus entra nell’organismo, si moltiplica in grande quantità e viene contagiato ad altre persone, sia su quelle dell’albero respiratorio inferiore, gli alveoli, dove avvengono gli scambi gassosi.
Questo doppio tropismo – ovvero la reazione di orientamento causata da agenti chimici o fisici – sia delle vie aeree superiori che inferiori consente al virus una elevatissima contagiosità (essendo altamente presente nelle secrezioni rinofaringee) e una elevata morbilità (polmonite interstiziale).
Recettori virali sono distribuiti anche lungo l’apparato digerente, il che avvalora l’ipotesi di una possibile via di trasmissione oro-fecale del virus, nell’endotelio che ricopre i vasi e in numerosi organi e tessuti.
Si ipotizza che le differenze nella suscettibilità all’infezione tra uomini e donne, bambini e adulti, soggetti di diversa etnia e in base alla predisposizione genetica siano legate anche alla differente espressione di ACE2 sulle vie aeree.
Sono state individuate anche altre vie d’ingresso del Sars-CoV-2 nell’organismo, come il recettore Dpp4, ugualmente presente in tutti i tipi di cellule umane (è la molecola cui si legano molti farmaci contro il diabete) e la neuropilina-1 (NP1), molto espressa sull’epitelio neuro-olfattivo (da cui l’anosmia, o perdita dell’olfatto).
Una volta agganciatosi alla membrana, il Coronavirus utilizza la proteina della superficie cellulare TMPRSS2 per fondere la sua membrana con quella della cellula ospite e scivolare all’interno, dove inizia a replicarsi attivamente.
Nella maggior parte dei casi, la malattia è auto-limitante, in quanto la fase viremica, che decorre in forma asintomatica o simil-influenzale, viene controllata e debellata entro 5-10 giorni dalla risposta immunitaria (prima innata e poi adattativa, cioè basata su anticorpi e linfociti T).
In una minoranza dei casi, il virus invece giunge nei polmoni e attacca gli alveoli polmonari, sviluppando una polmonite, che nei casi più gravi può generare una sindrome da distress respiratorio acuto e nel danno sistemico.
Il primo fattore che spiega l’evoluzione più grave che si osserva in una quota di pazienti è la presenza una risposta immunitaria debole, soprattutto per quanto attiene l’immunità innata: per questo sarebbero a maggior rischio pazienti anziani e con comorbilità che indeboliscono il sistema immunitario.
In particolare, sembrerebbe che le complicanze del Covid-19 possano essere conseguenti a una produzione insufficiente o ritardata di interferone tipo I nella primissima fase dell’infezione. L’interferone I è uno degli strumenti più potenti dell’attività anti-virale innata, con diversi meccanismi: impedisce la penetrazione dei virus nelle cellule, ne inibisce la replicazione, svolge attività immunomodulatoria e antiinfiammatoria.
Un altro aspetto che spiega l’evoluzione negativa è una risposta eccessiva del sistema immunitario nella seconda fase, sostenuta dall’eccessiva permanenza del virus nel corpo non debellato nella prima fase, che genera la cosiddetta “tempesta citochinica”, una massiva liberazione nel sangue di mediatori dell’infiammazione come interleuchina 6 (IL-6), che attivano una fase di “iper-infiammazione” sistemica che, in una reazione a catena, innesca il danno dei polmoni e degli altri organi.
Nel caso dei bambini la ridotta risposta infiammatoria potrebbe fungere da elemento protettivo, mentre condizioni che aumentano produzione e rilascio di Il-6 potrebbero rendere conto della maggiore aggressività dell’infezione in alcune categorie di persone, ad esempio sesso maschile, età avanzata, obesità, predisposizione genetica, esposizione all’inquinamento atmosferico da particolato sottile, attività fisica intensa.
Tuttavia, i risultati di una rapid review e metanalisi della Icahn School of Medicine dell’ospedale Mount Sinai di New York, mettono in dubbio il concetto di tempesta citochinica, in quanto i livelli di interleuchine non sono in realtà più alti che in altre condizioni di infiammazione sistemica, sottolineando piuttosto il ruolo dell’alterazione della coagulazione: infatti, le concentrazioni di D-dimero si sono rivelate 5 volte più alte nei pazienti con Covid-19 critica rispetto ai pazienti con sepsi.
Anche gli studi autoptici hanno rivelato che nelle sue fasi avanzate il Covid-19 si configura come una malattia caratterizzata da trombosi polmonare estesa e danno vascolare multi-organo (cuore, cervello, rene).
Si ritiene che il virus crei a livello polmonare sia un danno alveolare diretto con invasione e attivazione macrofagica che genera rimodellamento e distruzione di tessuto funzionale polmonare e fibrosi progressiva, sia un danno vasculitico da infiammazione dell’endotelio con tromboangioite proliferativa che evolve in micro-angiopatia obliterante e porta a occlusione trombotica delle arteriole e poi dei grandi vasi venosi e arteriosi, con blocco degli scambi gassosi alveolari per il deposito di trombi fibrinici. La microembolia si verifica anche a livello sistemico danneggiando altri organi e tessuti.
La trombofilia dei grandi e piccoli vasi dei polmoni e di altri organi sarebbe dovuta sia al danno virale diretto sull’endotelio, sia allo stato di infiammazione generalizzata, sia, secondo alcune ricerche, all’instaurarsi di meccanismi auto-immunitari sostenuti dallo sviluppo di auto-anticorpi anti-fosfolipidi e di ipersensibilità tipo 3 con deposizione di molecole di complessi antigene-anticorpo (immunocomplessi) nelle pareti vascolari.
Inoltre, nel Covid-19 alcuni studi hanno trovato che le piastrine, sotto lo stimolo del virus, mostrano attività pro-infiammatorie e pro-coagulanti, che spiegano l’imponenza dei fenomeni trombotici.
Nelle forme più gravi, si osservano:
- danno del sistema cardiovascolare, dovuto sia all’eccessiva risposta immunitaria sia all’attacco virale diretto sul tessuto miocardiaco, anch’esso fornito di recettori ACE2, sia all’ipossia da impegno polmonare; insufficienza renale, sia per danno diretto del virus, sia attraverso l’infiammazione sistemica e l’eccessiva coagulazione del sangue;
- danno del sistema nervoso, collegato, sebbene non sia esclusa la penetrazione di Sars-Cov-2 nel liquido cerebrospinale, all’infiammazione e allo sconcerto cardio-respiratorio e metabolico.
I disturbi dell’olfatto e del gusto, sintomi molto caratteristici del Covid-19, tanto che uno studio osservazionale su più di 2 milioni di partecipanti li ha messi al primo posto su tutti gli altri sintomi come predittivi ai fini della diagnosi, sono attribuiti invece a meccanismi particolari.
Per l’olfatto, dato che i neuroni olfattivi non presentano recettori ACE 2, si suppone il danno delle cellule sustentacolari, che supportano i neuroni olfattivi mantenendo il delicato equilibrio idro-salino del muco che li circonda e sostenendo la funzione delle ciglia poste alle loro estremità.
Per il gusto, i ricercatori hanno identificato nelle cellule delle ghiandole salivari, della lingua e delle tonsille il recettore ACE2 e l’enzima TMPRSS, per cui il Sars-CoV-2 potrebbe alterare la saliva e interferire con i canali TRP che in queste cellule sono implicati nella percezione del gusto.
Infine, alcuni studi puntano a valorizzare il ruolo del microbiota nella patogenesi del Covid-19. Uno studio di un team di ricercatori dell’Irccs Materno Infantile Burlo Garofolo e dell’Università di Trieste ha identificato una stretta relazione tra composizione dei batteri del cavo orale ed evoluzione clinica: la presenza di Prevotella salivae, Veillonella infantium, Prevotella jejuni e Soonwooa purpurea si è rivelata un marker di evoluzione verso la tempesta citochinica. Inoltre la presenza in grandi quantità di Prevotella jejuni nel cavo orale era associata alla perdita dell’olfatto.
Da altri studi sul liquido di lavaggio bronco-alveolare in pazienti intubati, si è trovato che il microbiota polmonare è significativamente alterato nei pazienti con Covid-19 grave, in particolare appare ricco di specie potenzialmente patogene.
Anche l’alterazione del microbiota intestinale, in studi cinesi, ha dimostrato correlazione con la gravità del Covid-19: in particolare, 3 generi della famiglia dei Firmicutes (Coprobacillus, Clostridium ramosum e Clostridium hathewayi spp) hanno mostrato la più forte associazione con la gravità del decorso, viceversa alcuni generi di Bacteroidetes (Alistipes onderdonkii e Faecalibacterium prausnitzii spp) hanno registrato un potenziale ruolo protettivo. Si ipotizza che anche lo stato di salute del microbiota intestinale possa giustificare la diversa suscettibilità dei soggetti al Sars-CoV-2.
(Fonte: Lo Speakers Corner – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)