Ammucchiate fatali
Tre sono le regole essenziali per evitare i contagi Covid: mascherina, igiene delle mani e distanziamento, cioè senza fare ammucchiate. Eppure…
di Giovanni Renella
Si erano ritrovati così, all’improvviso, l’uno addosso all’altro, ammucchiati e nudi come quella benedetta donna li aveva fatti, costretti a subire gli effetti di un’escursione termica senza precedenti.
Ora che i loro bollori si erano raffreddati erano tutti lì, fermi, in silenzio, ad aspettare i successivi sviluppi della situazione.
Gli stróngylos pristòs vantavano antiche origini greche ed erano sbarcati in quello splendido golfo quando Napoli si chiamava ancora Partenope.
Nessuno di quelli che li aveva preceduti era sopravvissuto per poter raccontare cosa sarebbe accaduto dopo essere stati ammassati tutti insieme: motivo per cui, in proposito, erano sorte tante leggende metropolitane.
Si era parlato di deportazione in massa dei malcapitati verso destinazioni diverse o si era favoleggiato di feste pantagrueliche e libagioni senza fine; ma erano i silenzi, le parole non dette, che lasciavano presagire il più cupo dei futuri.
Mentre erano lì ad interrogarsi sul loro destino, di punto in bianco furono investiti da una colata densa, appiccicosa, che li avrebbe uniti indissolubilmente, fino alla fine dei loro giorni.
Amalgamati l’uno all’altro, ormai non riuscivano più a muoversi.
Ma il destino riservava loro altre sorprese.
Così, mentre si guardavano con reciproche occhiate ancora incredule, fermi in quella loro immobilità forzata, su di loro cominciò a piovere di tutto.
All’inizio non capirono cosa fossero quelle minuscole palline colorate che venivano giù come neve e finivano per appiccicarsi sulle loro teste; ma cominciarono seriamente a preoccuparsi quando videro cadere qualcosa di più grosso, simile a grandine.
Sopportarono stoicamente che si completasse la preparazione e, quando tutto fu pronto, dopo essere stati fritti, immersi in una cascata di miele e ricoperti di diavolilli, confettini colorati e frutta candita, gli struffoli di Natale poterono fare bella mostra di sé: giusto il tempo di qualche giorno, prima di essere mangiati.
Giovanni Renella, nato a Napoli nel ‘63, vive a Portici. Agli inizi degli anni ’90 ha lavorato come giornalista per i servizi radiofonici esteri della RAI. Ha pubblicato una prima raccolta di short stories, intitolata “Don Terzino e altri racconti” (Graus ed. 2017), con cui ha vinto il premio internazionale di letteratura “Enrico Bonino” (2017), ha ricevuto una menzione speciale al premio “Scriviamo insieme” (2017) ed è stato fra i finalisti del premio “Giovane Holden” (2017). Nel 2017 con il racconto “Bellezza d’antan” ha vinto il premio “A… Bi… Ci… Zeta” e nel 2018 è stato fra i finalisti della prima edizione del Premio Letterario Cavea con il racconto “Sovrapposizioni”. Altri suoi racconti sono stati inseriti nelle antologie “Sette son le note” (Alcheringa ed. 2018) e “Ti racconto una favola” (Kimerik ed. 2018). Nel 2019 ha pubblicato la raccolta di racconti “Punti di vista”, Giovane Holden Edizioni. Il libro ha meritato il Premio Speciale della Giuria al Premio Letterario Internazionale Città di Latina. Nel 2020 il racconto “Vigliacco” è stato inserito nell’antologia “Cento Parole” e il racconto “tepore” è stato inserito nell’antologia “Ti racconto una favola”, entrambe pubblicate dalla Casa Editrice Kimerik. Inoltre, con il racconto “Come un dito nel culo”, pubblicato dalla Giovane Holden nel volume n. 7 “Bukowski. Inediti di ordinaria follia”, è risultato finalista al Premio Bukowski. Sempre, nel 2020 i suoi racconti“Il sogno”, “Innocente evasione” e “Mamme!”sono stati premiati e inseriti nell’antologia “Io resto a casa e scrivo” edita dalla Kimerik.
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