“Vittime assassini processi”. Da oggi in libreria il nuovo lavoro di Ferdinando Terlizzi
Il mio maestro, Ferdinando Terlizzi mi ha donato il suo ultimo libro e, dopo averlo letto con molto piacere, interesse e curiosità, l’ho fatto leggere al mio amico di detenzione Angelo Izzo. Abbiamo così deciso di scrivere una recensione a 4 mani.(*)
“Vittime, assassini, processi” è un libro molto particolare, si potrebbe dire perfino desueto, ma non nell’accezione negativa, poiché esso appartiene alla grande tradizione della cronaca nera. Quando i giornali erano davvero diffusi e la cronaca nera era considerata alla stregua della letteratura e costituiva la spina dorsale dei quotidiani, che avevano una grande influenza sull’opinione pubblica.
Il libro del decano dei giornalisti casertani, un vero maestro, appartiene al tempo in cui i cronisti erano dei grandi reporter, dei cercatori di storie, dei segugi che fiutata una traccia non la mollavano mai, dei minatori di verità.
Essere di quella razza voleva dire un impegno quasi totale, infatti, era frequente incontrarli in giro per questure e tribunali sempre alla ricerca della notizia in più, dell’indiscrezione, della fonte fidata. Allora essere un giornalista di nera voleva dire essere nel solco di una grande tradizione di ricerca appassionata della verità, voleva dire notti insonni, capacità critica, buone scarpe e un cervello indipendente e pensante abituato a dubitare ed anche pronto alla compassione per il reo e alla scoperta dei lati umani delle vicende.
Un abisso rispetto alla cronaca odierna. Giornalisti sottopagati e con nessuna velleità, abituati a cercare le notizie sulle agenzie, incapaci di ogni afflato umano, indifferenti alla fonte e alla attendibilità delle notizie che andranno a gettare in pasto ai lettori. Uomini e donne che si difendono dietro una corazza di parole che sono sempre più vuote provenendo da certi pulpiti, come professionalità, terzietà, obiettività. Il mestiere di giornalista di cronaca è divenuta la professione dei pennivendoli ad usum delphini, dei velinari che usano il copia incolla delle notizie delle procure e delle questure, una categoria che annoverano molti emuli di Roberto Saviano, quindi creatori di falsi attentati per ottenere “scorte”, sempre forti con i deboli e servili con i forti.
In questo tempo di decadenza in cui i giornali sono letti sempre meno e sono sempre più asserviti ai potenti di turno, il maestro Ferdinando Terlizzi, ci ricorda la grandezza di quella che taluni si ostinano a considerare quasi una missione.
Il libro ci riporta anche ad un’epoca in cui i tanti omicidi di una terra certamente sanguigna e di grandi passioni, se pure spesso dimostravano la banalità del male, erano decisamente degni di essere capiti. In certe zone d’Italia il temperamento di un popolo è spesso espresso dalla cronaca nera. Siamo sempre stati affascinati dal grande scrittore spagnolo, Perez de Reverte, che nel bellissimo libro noir, intitolato: “Il maestro di scherma”, fa dire al protagonista: “mi potrebbe stare anche bene un tiranno, se il popolo ha temperamento perché tale tirannia sarebbe temperata dal tirannicidio”.
Uno di noi due è sufficientemente vecchio da ricordare certe messe semi-clandestine da ragazzino, celebrate in suffragio dell’anima di Ravaillac colui che uccise Enrico II° di Francia che vecchi gesuiti celebravano nell’anniversario della morte del tirannicida. Così come ci piace ricordare George Simenon che diceva che “sarebbe arrivato un tempo in cui un giudice non avrebbe mai messo piede in un bordello per tutta la vita è quel giorno sarebbe stato un triste giorno per la Giustizia”.
La capacità di Terlizzi è appunto vedere la Giustizia e il suo svolgersi con l’occhio disincantato di chi è capace di vedere un punto di vista “altro”. Attingendo all’aneddotica personale un magistrato che aveva doti umane non indifferenti una volta ebbe a dire che il vero giudice doveva essere capace di comprendere il punto di vista del malfattore, se no il giudizio era certamente ingiusto. Si chiamava Paolo Borsellino questo magistrato.
Il libro di Terlizzi ha molto a vedere con la natura umana. Abbiamo ritrovato un brano di un libro noir che può apparire cinico ma, invece, secondo noi molto vero:
“Ogni poliziotto è figlio di qualcuno. Ogni poliziotto ha padre madre, fratelli e sorelle. Ogni cazzo di sbirro ama qualcuno. Moglie, fidanzata, amante, animali, amichetti. Tutti dall’ agente di strada al dirigente più alto ha qualche debolezza. Oppure ha avuto qualche debolezza. Sesso, soldi, droga, gioco d’ azzardo. Anzi ogni uomo sulla terra ha qualche segreto inconfessabile. Qualche peccato di cui vergognarsi. Figurarsi uno sbirro: tradimenti, mazzette, gelosie, invidie, bugie, cattiverie per scavalcare colleghi, avanzamenti di carriere truffaldini, insabbiamenti per ingraziarsi qualcuno, imbrogli, furti, pedofilia, ricatti, protezioni politiche. Che sia il piantone della questura o il dirigente che aspira alle più alte poltrone del Viminale, tutti hanno qualcosa o qualcuno da perdere, e come tutti bramano qualcosa e temono qualcosa altro. Tutti”.
“Figuriamoci vittime e assassini!”. Con sincero affetto e grande stima al caro maestro Ferdinando Terlizzi da parte di Augusto La Torre e Angelo Izzo.
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