Si alzi il sipario sulla crisi dei lavoratori nel mondo dello spettacolo
L’on. Del Monaco scrive sulla crisi degli operatori dello spettacolo e della grande macchina del Teatro
Ill.mo Presidente,
Ill.Signor Ministro,
mi permetto di scrivere questa lettera perché ho particolarmente a cuore un problema in attesa di risoluzione da troppo tempo ormai, ed è mia intenzione farmene portavoce.
L’emergenza sanitaria ci ha costretti a cambiare le abitudini di vita, a rimodulare la nostra quotidianità, il nostro lavoro, il rapporto con gli altri: non è stato facile, ma era necessario, lo è tuttora.
L’arresto forzato (e improvviso) di moltissime attività produttive e lavorative ha avuto notevoli ripercussioni economiche su alcuni settori.
Ritornare ad una parziale normalità è stato probabilmente il desiderio più grande che gli italiani potessero avere. Da più di un paio di mesi c’è stata la riapertura graduale delle attività, attraverso una serie di misure cautelative da rispettare. Non tutti i settori, però hanno potuto godere di tale “privilegio”.
C’è una grossa fetta di lavoratori che aspetta di essere contemplata in maniera opportuna: mi riferisco agli operatori dello spettacolo, a tutti gli addetti ai lavori che permettono da sempre la fruizione della cultura attraverso il Teatro, un settore estremamente eterogeneo, che abbraccia la prosa, il musical, la danza, il cinema, i concerti; un settore molto vasto che non ha sindacato per categoria e dunque non può essere tutelato.
Il cinema sembra essere ripartito scongiurando pertanto la crisi che, purtroppo, continua invece a persistere esclusivamente nel teatro e ad avere serie ripercussioni sull’intera macchina che si muove silenziosa alle sue spalle: non solo attori, ma anche (soprattutto) macchinisti, elettricisti, addetti video, fonici, sarte, amministratori, direttori di scena, trasportatori, facchini, fotografi, scenografi, truccatori, costumisti, costruttori, musicisti, registi, assistenti, disegnatori luci, service, direttori di sala, uffici programmazione e marketing, segretari, direttori teatrali, maschere, addetti alle pulizie, manutentori, addetti al botteghino, custodi…e le loro famiglie. È bene sottolineare, sì, che dietro a questo numeroso personale vi sono intere famiglie in difficoltà economiche.
Perché il teatro stenta a ripartire? Le condizioni dettate risultano essere davvero troppo limitative: per i posti al chiuso è stata imposta un’importante riduzione del numero di spettatori, arrivando addirittura a parlare di un limite massimo di 200 presenti, compresi gli addetti ai lavori. Tuttora c’è confusione a riguardo. Credo sia più giusto valutare ogni volta in rapporto alla capienza totale del singolo teatro, poiché i grandi teatri, con una capienza estremamente ridotta, non riuscirebbero a contenere i costi di gestione compreso il costo del cartellone; i piccoli teatri, invece, che già hanno difficoltà a sostenersi, avrebbero l’ulteriore ostacolo della limitazione dei posti. Tagliare il pubblico equivale a tagliare lo spettacolo: a tali costi infatti risulta molto difficile programmare un cartellone di un certo spessore culturale, è impensabile.
Il Teatro non è un’attività commerciale che, alzando la saracinesca, può quasi nell’immediato ricominciare a guadagnare: la macchina teatrale è fatta di programmazioni concordate, vagliate e stilate dopo mesi, incastri tra le compagnie di giro, disponibilità di attori e tecnici, prenotazioni di alberghi, noleggio mezzi, trasporti. Settembre è il mese dei fermenti, il mese che sancisce l’inizio delle programmazioni, il via del nuovo anno lavorativo, di una nuova stagione teatrale che vive, com’è noto, di circa sei mesi. Questa volta però tutto tace.
Da marzo 2020 l’intera macchina è stata bruscamente interrotta, la gran parte dei contratti sospesi, e dunque l’80% delle disoccupazioni previste sono terminate, scadute. Vi sono stati sussidi statali, è vero, bonus che hanno permesso ai lavoratori del settore di percepire un minimo, ma in molti casi l’erogazione dei suddetti sussidi stenta ancora ad arrivare laddove invece per qualcun altro è ferma a maggio/giugno. A tale proposito va anche aggiunto che sarebbe stato più giusto valutare il sussidio in base al reddito, evitando generalizzazioni, poiché non è possibile equiparare il lavoro (e quindi il guadagno) di un professionista del settore alla stregua del reddito di
cittadinanza. I lavoratori dello spettacolo, in molti casi, non sono ben definibili e, pertanto, sono spesso genericamente identificati come operai; basti pensare che diversi sono i settori specifici dello spettacolo per i quali non esiste un codice ATECO di riferimento alla Camera di Commercio.
Il mio discorso fa riferimento soprattutto ai teatri e alle produzioni private, poiché i teatri pubblici, funzionando come enti statali, hanno risentito solo marginalmente della crisi post Covid, garantendo lo stipendio e la tutela dei diritti ai propri dipendenti anche durante il lockdown.
La sanificazione dei locali, la mascherina da indossare, la distanza di un metro da mantenere, la misurazione della temperatura all’ingresso, sono tutte regole che il teatro rispetta per mettere in sicurezza il pubblico e i propri dipendenti, ma è fondamentale rivalutare alcune restrizioni, affinché ci sia di nuovo la possibilità per tutti di tornare a lavoro: un lavoro che regala, è bene ricordare, non solo svago, divertimento, ma anche e soprattutto storia, cultura, tradizione, arte. Valori che fanno grande la nostra bella Italia, ricchezze che il mondo ci invidia ed imita: la gente ha bisogno di ritornare a sognare, emozionarsi, allargare gli orizzonti, soprattutto tornando a frequentare i teatri in sicurezza e senza timore alcuno.
A marzo è calato il sipario sul mondo intero, il Teatro ne è lo specchio: troppo silenzio, troppe attese, troppi dubbi e incertezze, troppe persone messe da parte, che non hanno alcuna possibilità di svolgere il proprio lavoro se non in un teatro (non si può certo ovviare con lo smart working o fare spettacoli a porte chiuse); tantomeno possono fare affidamento sulla garanzia di un concreto sussidio qualora i tempi di ripresa risultassero ulteriormente lunghi, come sembra.
Credo sia giunto il momento di ridare dignità ai tanti lavoratori dimenticati; di ascoltare la voce di tutti coloro che, silenziosamente, lavorano dietro le quinte permettendo la realizzazione di meravigliosi spettacoli di cui si sente fortissima la mancanza.
Chiedo pertanto a Lei, Signor Presidente, e a Lei, Signor Ministro, di intervenire al più presto per porre rimedio a questa incresciosa e stagnante condizione, affinché il Teatro possa ripartire concretamente nel modo più giusto.
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