Reggia di Portici: un voto per valorizzare un glorioso passato, per un futuro migliore
Portici-È in corso anche quest’anno, fino a dicembre, il censimento per la scelta dei monumenti che diventeranno Luoghi del cuore FAI. La settecentesca reggia di Portici, la cui candidatura quale Luogo del cuore FAI è stata ideata ed è promossa da un comitato, apartitico e apolitico, di cittadini, “Insieme per la reggia di Portici”, è, in questo momento, il più votato tra i siti campani e l’unico ad avere concrete speranze di successo nella competizione con gli altri siti dislocati su tutto il territorio nazionale. Perché vale la pena di spendere pochi secondi del proprio tempo per votare la reggia di Portici? Perché essa è una delle testimonianze più rilevanti di un’epoca decisiva nella storia napoletana ed europea; proprio al più ampio contesto della storia europea dobbiamo far riferimento per capire le ragioni della sua importanza.
Il Settecento è noto per essere stato, in Europa, il secolo delle riforme messe in atto da grandi sovrani illuminati, quali Maria Teresa e Giuseppe II nell’Impero Asburgico, Federico II in Prussia, Pietro I e Caterina II in Russia, Carlo III in Spagna. Anche nella penisola italiana le riforme furono portate avanti da alcuni noti sovrani illuminati, come Pietro Leopoldo d’Asburgo in Toscana, autore del Codice leopoldino, con il quale per la prima volta veniva abolita la pena di morte, e il già ricordato Carlo di Borbone, che era stato re di Napoli e di Sicilia dal 1734 al 1759 prima di diventare re di Spagna con il nome di Carlo III. In tutta Europa le riforme si caratterizzarono per il tentativo di accentrare il potere nelle mani dei sovrani, di razionalizzare l’amministrazione, di rendere più trasparenti le procedure giuridiche, di diminuire il peso politico della nobiltà e della Chiesa cattolica, alla quale venne sottratto anche il monopolio dell’istruzione (significativa fu la circostanza che i Gesuiti, che di questo monopolio erano i depositari, furono scacciati da molti paesi, come il Portogallo, la Spagna, il Regno di Napoli, fino a quando la Compagnia fu soppressa nel 1773 per volere di papa Clemente XIV sotto la pressione dei sovrani borbonici di Napoli, Parma, Spagna). In questa loro opera di rinnovamento i sovrani furono accompagnati e sostenuti da giuristi, filosofi, statistici, scienziati dell’amministrazione, economisti, molti dei quali, come Antonio Genovesi, Ferdinando Galiani, Gaetano Filangieri, Francesco Mario Pagano, per non citare che i più noti, operarono nel Regno di Napoli. In verità, già nel secolo XVII le monarchie erano andate rafforzandosi nella lotta contro la grande nobiltà e contro il clero; nel Settecento si trattò, da un lato, di consolidare le posizioni che esse avevano guadagnate nel corso di questa secolare lotta, e, dall’altro, di assecondare, controllandole, le tendenze alla modernizzazione espresse, certo non ovunque con la stessa forza, dalle compagini sociali.
Questo progetto riformatore e accentratore aveva però bisogno, per compiersi, anche di manifestazioni fortemente simboliche, tali da consentire all’idea astratta della sovranità assoluta del re di incarnarsi concretamente. In tutta Europa sorsero allora grandi palazzi, si misero insieme grandi collezioni di opere d’arte, si diede il via a fondamentali opere pubbliche e ad imponenti sistemazioni urbanistiche. L’esempio era stato dato, per primo, da Luigi XIV che, con l’edificazione della reggia di Versailles, aveva messo sotto controllo quella nobiltà che solo pochi anni prima aveva provocato una sanguinosa guerra civile con la “Fronda dei principi”, che lo aveva costretto ad abbandonare, quando era ancora un bambino, la città di Parigi: egli dispose, infatti, che i nobili fossero tutti ospitati a palazzo, tenendoli lontano dalla politica e mettendoli in competizione tra di loro anziché con la monarchia. Alcuni tra i grandi palazzi settecenteschi o che conobbero un deciso sviluppo nel corso del Settecento che si possono qui ricordare furono quello di Schönbrunn a Vienna, la residenza privata di Sans Souci fatta edificare da Federico II a Potsdam, il complesso dell’Hermitage a San Pietroburgo.
A Napoli questa stagione politica non fu meno vivace. Carlo di Borbone aveva conquistato il regno nel 1734 nell’ambito delle convulse vicende della guerra di successione polacca (1733-1738); dopo due secoli di dipendenza dalla Spagna (1503-1707) e poco meno di un trentennio di dominio austriaco (1707-1734), Napoli ridiventava così autonoma. Il fermento intellettuale, politico e artistico che allora si registrò fece di quel periodo “l’ora più bella della storia di Napoli” (Giuseppe Galasso): si misero a punto importanti riforme fiscali e amministrative (si pensi al catasto onciario e alla tassazione degli ecclesiastici); si richiamarono nel Regno gli Ebrei, espulsi nel 1540, con l’intento di rinvigorire i commerci; si incentivarono campagne di scavi per portare alla luce i resti delle città di Pompei ed Ercolano, sulla cui reale collocazione da tempo venivano operate congetture, ma che solo in quegli anni furono effettivamente ritrovate (evento, questo, che ebbe fortissima risonanza in tutto il mondo intellettuale europeo); arrivò a Napoli, da Parma, la collezione Farnese, che costituisce, oggi, il nucleo più consistente delle Gallerie di Capodimonte e del Museo Archeologico Nazionale (in quest’ultimo caso, insieme ai reperti di Ercolano e Pompei); furono inaugurate importanti manifatture, come quella delle porcellane a Capodimonte; si diede impulso ad un grande rinnovamento urbanistico, grazie al quale furono edificati in città il Foro carolino (l’attuale piazza Dante), il Teatro San Carlo, il Palazzo reale di Capodimonte, l’Albergo dei Poveri e fu rinnovato il Palazzo Reale di epoca vicereale; fuori dalla città, Carlo fece costruire altre due regge, una, a Caserta, che potesse rivaleggiare con quella di Versailles, e l’altra, più piccola, nella vicina e amena località di Portici.
I lavori per la reggia di Portici iniziarono nel 1738, dopo una visita del sovrano in città, e si conclusero nel 1742; il progetto fu commissionato dapprima a Giovanni Antonio Medrano e poi ad Antonio Canevari, mentre gli interni furono decorati da Giuseppe Bonito, Vincenzo Re, Giuseppe Canart, Crescenzo Gamba. La reggia, com’era d’uso in quell’epoca, fu circondata da un bosco, che proprio il corpo di fabbrica dello stesso palazzo divideva in due parti, una, detta parco inferiore, di dimensioni più ridotte, che giunge fino al porto, anch’esso borbonico, del Granatello, l’altra, di dimensioni maggiori, detta parco superiore, che sale verso le pendici del Vesuvio. Per dare un’idea della sua estensione, il bosco occupa ancor oggi circa un quarto del territorio comunale di Portici e si estende in parte anche nel territorio del vicino comune di Ercolano; il parco inferiore presentava due peschiere e giardini all’inglese, mentre il parco superiore ospitava la fontana della vittoria, sormontata da una copia della statua della dea Flora, proveniente da Ercolano, uno spazio, con anfiteatro, dedicato al gioco della pallacorda, una piccola fortificazione per esercitazioni militari, il giardino segreto della regina Maria Amalia di Sassonia, piante ed animali esotici, compreso un elefante indiano che il sultano Maometto V donò a Carlo nel 1742, vero e proprio motivo di gloria per la monarchia borbonica, dal momento che nessun’altra dinastia europea poteva vantare il possesso di un simile animale esotico. Lo scheletro dell’elefante si conserva oggi nel Museo zoologico dell’Università Federico II di Napoli.
Nel complesso della reggia, che inglobò gli edifici e le tenute preesistenti Mascabruno, Palena e Santobuono, furono ospitati, dal 1755, l’Accademia Ercolanese, composta da quindici filologi che avevano il compito di censire e illustrare i monumenti rinvenuti durante le campagne di scavo e, dal 1757, il Museo Ercolanese, nel quale furono raccolti i reperti che man mano venivano dissotterrati da Ercolano e da Pompei, portati poi via da Portici da Ferdinando IV nel corso della sua frettolosa fuga a Palermo nel 1799 e oggi perlopiù custoditi nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli; degni di nota dal punto di vista architettonico sono lo scalone monumentale, la sala cinese, che ricalca il gusto settecentesco per l’Oriente e la Cina, il salottino di porcellana di Maria Amalia, anch’esso asportato dalla sua sede originaria e oggi a Capodimonte, la Cappella palatina, nella quale un Mozart ancora bambino suonò l’organo a canne, la Caserma delle Guardie reali e il Galoppatoio reale coperto nella vecchia proprietà Mascabruno, voluto da Ferdinando IV. La presenza della reggia stimolò poi gli aristocratici napoletani a costruire nella zona circonvicina le loro residenze estive, note oggi con il nome di Ville vesuviane (se ne censiscono 122, distribuite nei territori di Napoli, quartieri San Giovanni a Teduccio e Barra, San Giorgio a Cremano, Portici, Ercolano, Torre del Greco). Durante i moti del 1848, all’epoca dell’instaurazione della Repubblica Romana, nella reggia fu alloggiato papa Pio IX, esule da Roma; dopo l’unità d’Italia, invece, a partire dal 1872, il vecchio palazzo borbonico, dopo il suo passaggio dal demanio all’amministrazione provinciale, ha ospitato Istituti di istruzione e di ricerca legati alla valorizzazione e alla modernizzazione dell’agricoltura meridionale. Proprio nel 1872, insieme con l’ancora esistente orto botanico, fu infatti fondata la “Scuola superiore di agricoltura”, che nel 1935, in seguito alla riforma che dispose l’accorpamento degli Istituti superiori di agricoltura alle Università, si trasformò nella Facoltà di Agraria afferente alla Regia Università di Napoli, l’attuale Università “Federico II”. Docenti e direttori illustri dell’Istituto furono, tra gli altri, Orazio Comes, Filippo Silvestri, Emanuele De Cillis, ai quali sono intitolati scuole e piazze a Portici e in altri Comuni della provincia partenopea (compreso il capoluogo), e Oreste Bordiga, padre del più noto Amadeo, cofondatore, insieme ad Antonio Gramsci e Palmiro Togliatti, del Partito Comunista d’Italia nel 1921. Ancora oggi la Reggia di Portici ospita il Dipartimento di Agraria dell’Università Federico II, ma dispone anche di un’ampia zona museale, il Centro Musa, sempre gestito dall’Università, che comprende l’Orto Botanico, il Museo Zoologico, il Museo Entomologico, il Museo Mineralogico, il Museo anatomo-zootecnico, il Museo di meccanica agraria, il Museo della vite e del vino, il Museo Botanico, l’Herculanense Museum ed un orologio azimutale analemmatico.
Attualmente la Reggia di Portici è solo parzialmente restaurata; farla rientrare nel novero dei Luoghi del cuore FAI significherebbe agevolarne la manutenzione e aprire, gradualmente, un numero maggiore di aree alla fruizione della cittadinanza e dei turisti, in modo da tutelare e, al contempo, valorizzare un monumento che è una delle principali realizzazioni dell’epoca più gloriosa della pur gloriosa storia di Napoli e del suo regno.
IL LINK PER VOTARE LA REGGIA DI PORTICI
https://www.fondoambiente.it/luoghi/reggia-di-portici?ldc
GALLERY- FOTO DI MARIA ROSARIA VARONE
Nell’ordine: 1.Copia della statua di Marco Nonio Balbo; 2.Cortile interno; 3. Facciata principale; 4. particolare della Fontana della Vittoria; 5. Fontana della Vittoria; 6. Fortificazione per esercitazioni militari; 7. Giardino segreto; 8. Orto botanico; 9. Pallacorda.
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