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Attualità

Il Real Sito borbonico di Portici

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L’imperdibile passeggiata domenicale in un sito reale lasciatoci dai Borbone: il nostro autore ci guida nel bellissimo e suggestivo percorso all’interno del Real Sito di Portici

di Lucio Sandon

Il Real Sito borbonico di Portici comprende la Reggia, i boschi Inferiore e Superiore, l’Orto Botanico, il porto del Granatello, Villa Mascabruno con il Galoppatoio coperto, la Ferrovia e Villa D’Elboeuf.

Nel 321 avanti Cristo, Gavius Ponzio, il generale che guidava i guerrieri sanniti nella battaglia delle Forche Caudine, chiamò suo padre, il saggio Erennio Ponzio per decidere la sorte dei legionari romani sconfitti. Erennio consigliò la clemenza: i militari romani vennero solo umiliati facendoli passare sotto le forche, ma poi furono lasciati liberi. Qualche secolo più tardi, la famiglia dei Pontii, completamente riassorbita nella civiltà romana, oltre che possedere una grande villa nella capitale, ne aveva una sul mare a sud di Napoli, confinante con quella dei Pisoni, la famiglia del suocero di Giulio Cesare.

Lucio Ponzio Aquila fu uno dei senatori che pugnalarono Cesare in senato alle idi del marzo del 44 avanti Cristo, ed era il prozio di Ponzio Pilato. Quando molti secoli dopo, Carlo di Borbone ordinò la costruzione di una residenza sulla collinetta detta del Salvatore in quello stesso punto, durante gli scavi per le fondamenta della reggia, tra gli altri reperti venne alla luce un capitello portante le iniziali del senatore Quinto Ponzio Aquila, con l’immagine del rapace ad ali spiegate, che sarebbe poi diventato il simbolo del comune vesuviano.

Con la venuta di Carlo di Borbone a Napoli nel 1734 e la costituzione di un regno indipendente, si verificarono le condizioni per avviare importanti interventi urbani, finalizzati all’adeguamento della città al ruolo di capitale europea. Carlo arruolò un manipolo di architetti estranei all’ambiente napoletano, come Canevari, Medrano, Vanvitelli, Fuga, che portarono un forte rinnovamento nell’architettura napoletana, fino a quel punto di dominante impronta tardo barocca. Vennero così aperti i cantieri per tre grandi residenze reali: Capodimonte, Portici e Caserta.

La tradizione vuole che mentre veleggiava nel golfo alla ricognizione dei suoi possedimenti, re Carlo insieme alla consorte Maria Amalia Christina Franziska Xaveria Flora Walburga di Sassonia, sorpreso da un improvviso fortunale abbia trovato riparo nel porticciolo della villa sul mare che era appartenuta al principe Maurizio D’Elboeuf, vicerè d’Austria, all’epoca proprietà del duca di Cannalonga Giacinto Falletti.

Maria Amalia e Carlo, colpiti dall’amenità dei luoghi, avrebbero pensato di farsi costruire una residenza sul mare, ma con la possibilità di effettuare le battute di caccia tanto amate dal sovrano nei boschi che si protendevano sulle falde del Vesuvio. Non è proprio così.

Il re aveva invece deciso di costruire la reggia di Portici esattamente sulle proprietà di alcuni nobili tra cui Marino Caracciolo, principe di Santobuono, il marchese Mascabruno e il principe di Caramanico, per un motivo politico ben preciso. A parte d’Elboeuf, che era per ovvi motivi inviso al sovrano, gli altri insieme a diversi esponenti della migliore nobiltà napoletana, avevano pubblicamente criticato non solo la venuta di Carlo da Parma, ma anche la sua politica, e si erano riuniti in una società segreta dalla quale pochi anni dopo sarebbe nata la massoneria.

Juan Antonio Medrano, brigadiere e ingegnere maggiore del regno, ebbe per primo il mandato di costruire il Real Teatro di San Carlo, e poi la Reggia di Portici. La località prescelta si chiamava “Granatello” perché si trattava di una collinetta interamente coperta da alberi di melograno e cespugli di mirto, che si erge alle spalle di un porto naturale.

Come base di partenza per la nuova costruzione si era deciso di utilizzare la villa del conte di Palena, marchese di Francolise, duca di Casoli e principe di Caramanico. La villa non fu abbattuta ma venne costruito invece un altro palazzo uguale e speculare, che sarebbe stato poi riunito a formare l’ala disposta verso il mare della nuova reggia.

Anche l’immensa villa Mascabruno era stata risparmiata per ospitare edifici di servizio e il nuovo galoppatoio coperto, e così anche palazzo Valle che sorgeva di fronte a essa per farne sede della guarnigione di cavalleria: avrebbe ospitato seimila uomini tra ussari, dragoni e lancieri.

Motivo di preoccupazione era la possibilità di eruzioni vulcaniche, ma Carlo, sovrano illuminato, mostrò curiosità per il pericolo incombente, e incaricò spedizioni scientifiche per approfondire la questione.

Fu il responso degli scienziati, unito alla fiducia nella protezione dei Santi, che convinse il re della bontà del suo progetto: «Ci penseranno Iddio, San Gennaro e Maria Immacolata», rispondeva Carlo a chi gli faceva notare l’eccessiva vicinanza della reggia al Vesuvio. I reperti provenienti dagli scavi per le fondazioni del palazzo reale, insieme a quelli di Ercolano e Pompei formarono una delle raccolte più famose al mondo e diedero vita all’Herculanense Museum, inaugurato nel 1758, e meta privilegiata del Grand Tour.

Per accedere alla reggia dal mare, nel 1773 fu costruito il porto del Granatello.

La Reggia di Portici è attualmente uno dei più splendidi esempi in Europa di residenza estiva di una famiglia reale: posta alle pendici del Vesuvio, ha un bosco superiore, originariamente dedicato alla caccia, e uno a valle, di tipo più ornamentale, esteso fino al mare, lato difeso da un fortino imprendibile, distrutto solo dalla furia dei nuovi conquistatori. Le sue pietre di lava vesuviana sono state usate per costruire la massicciata del lungomare di Napoli.

Molto rilevante risulta anche la circostanza di essere anche l’unica residenza reale al mondo costruita lungo il tracciato di una pubblica via, la regia strada delle Calabrie, e priva di mura e cancelli. Per ordine del sovrano, il popolo non veniva tenuto a distanza ma anzi era invitato a godere del fresco donato dalle sue mura mediante l’apposizione di una serie di panchine di pietra lavica lungo il contorno del cortile interno, che in pratica è un vero e proprio piazzale.

Qui affaccia anche la cappella palatina dedicata all’Immacolata, che si annuncia sotto il primo cavalcavia con il suo scenografico ingresso. La sua insolita planimetria rivela la primitiva destinazione teatrale, frutto dell’incomprensione tra l’architetto Medrano, che aveva pensato di posizionare la cappella nel cortile interno, e il Canevari che invece aveva completamente dimenticato di prevedere la chiesa.

Lo spazio ottagonale coperto a padiglione, previsto per la platea, diventò così una navata, mentre un altro spazio destinato al palcoscenico accoglie il presbiterio e l’altare. Ricordo della originaria destinazione anche il palco reale, dove viene conservato l’organo, a lungo usato da Wolfgang Amadeus Mozart.

Dal vestibolo della reggia un maestoso scalone conduce al primo piano, dove si trovano gli appartamenti reali, con il boudoir di porcellana della regina Maria Amalia di Sassonia, ora asportato e rimontato nella reggia di Capodimonte.

Il concetto della penetrazione della strada nel palazzo, verrà ripreso e riproposto, sebbene in una forma che escludeva il traffico esterno, anche da Vanvitelli nella reggia di Caserta.

Il bosco inferiore arriva fino al porto realizzato per l’attracco dei velieri, ed è caratterizzato da lunghi viali. Era stato richiesto agli architetti di progettare un parterre alla francese, ma a tutti gli effetti si tratta invece di un giardino all’inglese.

Notevole il Chiosco di re Carlo dove un tempo c’era un tavolino a mosaico. Vi è poi un anfiteatro con tre ordini di scalinate.

Il giardino del palazzo comprendeva peschiere e piantagioni, organizzate come aiuole dalla struttura geometrica.

Comune a quel tempo era la coltura degli ananas, per cui nei giardini, oltre ai cafehouse di cui restano solo ruderi, erano presenti le stufe per gli ananassi, cioè serre per piante tropicali.

All’interno del parco superiore disegnato da Antonio Medrano e Francesco Geri, e impiantato sulla colata lavica del 1631 con cospicui lavori di sistemazione del suolo e la messa a dimora di migliaia di alberi d’alto fusto provenienti dalle foreste della Sila, venne allestito uno zoo con molte specie di animali esotici donati dagli ambasciatori degli stati d’oriente e africani, e altri che Ferdinando IV volle far giungere dall’estero.

Entrando nell’Orto botanico si incontra la fontana delle Sirene, sormontata da una statua proveniente dagli scavi archeologici raffigurante la Vittoria o Flora. Ancora, la fontana del Cigno del Giardino Segreto, separato dall’Orto da un muro.

In una radura del bosco vi è il cosiddetto Castello: un fortino, progettato nel 1775 dall’ingegnere militare Michele Aprea sotto la direzione del generale Francesco Pignatelli, che rappresenta in scala ridotta la fortezza di Capua, con tanto di fossato, ponte e cappella interna, mentre vicino si può ancora vedere il recinto per il gioco del pallone.

Protetto dall’ombra dei lecci, il giardino delle felci è uno degli angoli più suggestivi dell’Orto Botanico. Poco discosto vi è un palmeto che ospita venticinque diverse specie ed esemplari rarissimi di palme. Al verde strutturato ed antropico del giardino storico, si contrappone l’aspetto volutamente selvaggio del bosco circostante, intitolato al botanico napoletano Giovanni Gussone.

Il bosco presenta un assetto naturale in pieno contrasto con la invasiva urbanizzazione dell’ambiente circostante, e rappresenta un museo vivente delle formazioni vegetali mediterranee spontanee. I giardini e tutte le costruzioni della reggia vengono alimentate da enormi vasche sotterranee che raccolgono le acque provenienti da falde acquifere vesuviane.

Il palazzo Mascabruno era costituito da un cortile interno limitato dai corpi di fabbrica e circondato da un caratteristico boschetto di elci, poi sostituito dalla prateria, mentre il palazzo venne ristrutturato per essere utilizzato come scuderia reale.

I cortili, su cui si aprono le ampie arcate delle scale portanti ai piani superiori, venivano utilizzati per i cavalli ed erano lastricati con pietre vesuviane. Qui veniva allevato il cavallo Napolitano, una razza equina autoctona, forte e affidabile in battaglia, vanto della cavalleria borbonica e famoso in tutt’Europa. La sua conformazione morfologica predisponeva il cavallo sia al tiro che alla sella, in particolare al dressage e all’alta equitazione.

Annesso alle scuderie vi è il galoppatoio coperto, che pur esteso su un’area di 600 metri quadri è secondo per dimensioni solo a quello del castello di Schönbrun. Il galoppatoio austriaco però venne inaugurato solo tre anni dopo quello di Portici, in occasione della visita a Vienna di Ferdinando IV e Maria Carolina. L’imperatore austriaco in visita da sua sorella, era rimasto così ammirato dalle opere borboniche da far eseguire disegni del galoppatoio di Portici per realizzarlo in Austria.

Completano il sito borbonico la Ferrovia Napoli-Portici, il primo tratto di strada ferrata in Italia, inaugurata il 3 ottobre del 1839, e la villa del principe D’Elboeuf, che veniva utilizzata come dependance per gli augusti ospiti della corona e per i bagni di mare.

Costruita nel 1711 su progetto di Sanfelice, la villa di circa 4.000 metri quadri coperti, sfruttava mirabilmente la splendida condizione naturale mediante grandi scalinate ellittiche all’aperto, con terrazze a differenti livelli. La villa era nota per le statue e gli oggetti antichi che in essa si custodivano e che il principe aveva ritrovato nel corso di quegli scavi che, proseguiti poi sistematicamente da Carlo e dall’Accademia Ercolanese, dovevano riportare alla luce l’antica Ercolano.

Con questi acquisti il re si assicurò una vasta zona di terreno che fu recintata verso il Vesuvio e popolata di selvaggina per soddisfare la sua passione per la caccia, mentre sul mare organizzò grandi vivai per la pesca.

Qui Carolina Bonaparte, moglie di Gioacchino Murat, fece costruire quello che può essere considerato il primo stabilimento balneare italiano, naturalmente a proprio uso esclusivo.

A latere della reggia di Portici si estende il cosiddetto Miglio d’oro, un tratto di strada che partendo da San Giorgio a Cremano arriva fino a Torre Annunziata, territorio nel quale oltre 121 nobili napoletani fecero a gara per costruire una schiera di ville quanto più lussuose e vicine alla dimora dei sovrani partenopei.

L’elenco delle cosiddette Ville Vesuviane sarebbe troppo lungo e complicato, per cui basta ricordare solo le più prestigiose: Villa Campolieto dei principi di Sansevero su progetto di Vanvitelli, Palazzo Ruffo di Bagnara a Portici, Villa Bisignano di Sanseverino a Barra, Villa Vannucchi a San Giorgio a Cremano, una piccola reggia costruita da Giacomo D’Aquino di Caramanico al posto di quella requisita dal re, villa Aprile dei duchi Riario Sforza a Ercolano, Villa Prota a Torre Annunziata del marchese di Poppano, la Villa dei principi Lauro Lancellotti, ingloriosamente crollata, Villa delle Ginestre, ove oltre al conte Giacomo Leopardi dimorò a Torre del Greco anche Luigi Vanvitelli, Villa Favorita di Ercolano, quasi una reggia. E poi Villa Pignatelli a Barra, Villa Bruno, Villa Caracciolo e villa Pignatelli a San Giorgio, il Casino delle Delizie degli Orsini, ora Palazzo Landriani a Portici, Villa Nava a Portici, il Palazzo del principe di Migliano, Villa Correale e Villa Ruggiero a Ercolano, Palazzo Vallelonga e Villa Hamilton a Torre del Greco, e via via tutte le altre splendide residenze.

La Reggia di Portici fu acquistata dall’amministrazione provinciale nel 1871, con lo specifico e dichiarato intento di destinarla a Scuola Superiore di Agricoltura, la prima per l’Italia meridionale ed insulare. Oggi ospita il Dipartimento di Agraria dell’Università Federico II di Napoli.

Il sito borbonico di Portici ospita i seguenti musei:

  • Orto Botanico: mediateche e Museo Botanico
  • Herculanense Museum:l’anima archeologica del polo museale
  • Museo Mineralogico
  • Museo Entomologico
  • Museo di meccanica agraria
  • Museo Anatomozootecnico
  • Museo della vite e del vino

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Lo scrittore Lucio Sandon è nato a Padova nel 1956. Trasferitosi a Napoli da bambino, si è laureato in Medicina Veterinaria alla Federico II, aprendo poi una sua clinica per piccoli animali alle falde del Vesuvio.

Notevole è il suo penultimo romanzo, “La Macchina Anatomica”, Graus Editore, un thriller ambientato a Portici, vincitore di “Viaggio Libero” 2019. Ha già pubblicato il romanzo “Il Trentottesimo Elefante”; due raccolte di racconti con protagonisti cani e gatti: “Animal Garden” e “Vesuvio Felix”, e una raccolta di racconti comici: “Il Libro del Bestiario veterinario”. Il racconto “Cuore di figlio”, tratto dal suo ultimo romanzo “Cuore di ragno”, ha ottenuto il riconoscimento della Giuria intitolato a “Marcello Ilardi” al Premio Nazionale di Narrativa Velletri Libris 2019. Il romanzo “Cuore di ragno” è risultato vincitore ex-aequo al Premio Nazionale Letterario Città di Grosseto Cuori sui generis” 2019.

Sempre nel 2019,  il racconto “Nome e Cognome: Ponzio Pilato” ha meritatola Segnalazione Speciale della Giuria  nella sezione Racconti storici al Premio Letterario Nazionale Città di Ascoli Piceno, mentre il racconto “Cuore di ragno” ha ricevuto la Menzione di Merito nella sezione Racconto breve al Premio Letterario Internazionale Voci – Città di Roma. Inoltre, il racconto “Interrogazione di Storia”  è risultato vincitore per la Sezione Narrativa/Autori al Premio Letizia Isaia 2109.

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