Mondragone. Fuori dal carcere il boss Mariano La Torre
di Marco Romano
Mondragone. Ancora una scarcerazione eccellente: ad uscire dal carcere il boss Mariano La Torre, cugino di Augusto La Torre, capoclan dei “Chiuovi” a Mondragone.
Si tratta dell’ennesima scarcerazione dopo quella di Pasquale Zagaria avvenuta nei giorni scorsi, in seguito alla quale sono sorte tantissime polemiche.
Solo 2 giorni fa sono stati scarcerati 3 esponenti del clan dei Casalesi.
Il clan La Torre, negli ultimi anni è stato smantellato grazie a decine di arresti effettuati dalle forze dell’ordine. Nel tempo hanno preso il sopravvento in zona altri gruppi criminali come i Fragnoli, Gagliardi e Pagliuca.
Mariano La Torre, 64 anni, fu arrestato a Mondragone il 2 luglio 2017 dai Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Caserta che gli notificarono l’ordine di esecuzione per la carcerazione, emesso dall’ufficio esecuzioni penali della Corte di Appello di Napoli.
La Torre, pregiudicato ed appartenente al clan camorristico omonimo, operante a Mondragone e paesi limitrofi, è stato riconosciuto colpevole del reato di associazione per delinquere di stampo mafioso.
La Torre, che dopo l’arresto fu tradotto nel carcere di S. Maria Capua Vetere, per scontare una pena di 4 anni, 8 mesi ed 11 giorni di reclusione.
L’articolazione criminale è stata guidata a lungo da Augusto La Torre, figura di spicco del clan, nato a Mondragone il 1º dicembre 1962, che aveva iniziato una precoce carriera criminale in qualità di “figlio d’arte”, avviato al crimine dal padre Tiberio, al quale è succeduto nella leadership della famiglia (i nomi riflettono la scelta non casuale di riferirsi alla linea di successione inversa degli imperatori romani, nello specifico alle figure storiche di Adriano e Tiberio).
Arrestato in Olanda l’8 giugno 1996 è stato subito sottoposto al regime carcerario del 41 bis ed è stato oggetto di vari processi nei quali ha dovuto difendersi da una serie di gravissimi capi d’imputazione (compreso l’omicidio), per i quali ha collezionato anche condanne definitive, come quella a 22 anni per associazione camorristica ed estorsione, e quella a nove anni per estorsione aggravata, pronunciata nei suoi confronti il 15 marzo 2007.
Divenuto collaboratore di giustizia a partire dal 2003 (anno in cui fu arrestata sua moglie, da cui poi si è separato), ha consentito l‘arresto di gran parte dei suoi ex affiliati, ha confessato estorsioni e decine di omicidi, dando anche indicazioni per il ritrovamento dei cadaveri dell vittime. Il suo pentimento, tuttavia, è stato giudicato “riduttivo” da inquirenti e giudici di sorveglianza (in particolare, non ha consentito di ritrovare la cassaforte del clan, forse ancora depositata nei Paesi Bassi). Per questo motivo non ha potuto beneficiare di riduzioni di pena, ma solo di una mitigazione del duro regime carcerario del 41 bis, sospesogli a partire dal giugno 2011, una condizione detentiva che gli ha permesso di laurearsi in psicologia presso la Seconda Università degli studi di Napoli[3] con studi che hanno riguardato Jacques Lacan e la scuola della psicologia della Gestalt, e hanno comportato la lettura dell’opera omnia di Sigmund Freud e Carl Gustav Jung.
Da indagini compiute nel 2013, che hanno portato all’arresto di 35 presunti affiliati, è risultato che gli eredi del clan hanno nominato reggente delle attività criminale il boss Carlo Di Meo, che avrebbe siglato un’alleanza con Cosa Nostra, in particolare col boss Vincenzo La Placa di Palermo, leader di una famiglia mafiosa in rapporti con il clan dei corleonesi di Totò Riina e con il clan mafioso di Catania.
L’organizzazione fu attiva soprattutto nella città di Mondragone ma ha stabilito interessi economici ramificati all’estero: ad esempio, gestisce attività commerciali anche in Scozia e nella città di Aberdeen. Nel Regno Unito, la cosca aveva affiliato anche Brandon Queen, “il primo camorrista di nazionalità scozzese della storia”[
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