Alife-Caiazzo. Quasi un milione ‘sottratto’ a un prete ora morto: vescovo emerito, ex perpetua e marito condannati
In qualche modo sminuita della sua gravità in seguito all’anticipato collocamento in pensione di monsignor Valentino Di Cerbo, finito nella bufera, poi nei guai giudiziari e ora condannato (in primo grado), insieme a due “benefattori”, per una delicatissima vicenda occorsa nel periodo in cui era vescovo della diocesi Alife-Caiazzo, come impietosamente e senza alcun timore riverenziale descritto dal tenace collega Gianfranco Izzo per “PaeseNews“:
Scandalo in Diocesi, “sfilarono” 894mila euro ad un anziano prete: condannato l’ex vescovo Di Cerbo e due “benefattori”.
La Chiesa -è risaputo- si basa sulla povertà. Chiaramente su quella degli altri. Tanti preti, Vescovi e Cardinali, invece, amano lo sfarzo, costruiscono sontuosi templi liturgici.
Sfilarono 894mila euro ad un prete anziano. Per quei fatti e dalle successive indagini svolte dal maggiore dei carabinieri Falso -all’epoca comandante della compagnia carabinieri del Matese- è nato un processo che ha portato alla condanna in primo grado per l’ex vescovo di Alife, Valentino Di Cerbo, e dei coniugi Rosa Cristina D’Abrosca e Giovanni Fevola.
Le condanne
Il pubblico ministero, nell’ambito del giudizio abbreviato aveva chiesto la condanna di tutti gli imputati alla pena di 2 anni e 8 mesi di reclusione e disporsi la confisca di quanto sequestrato.
Il gip ha dichiarato Di Cerbo, D’Abrosca e Fevola colpevoli del delitto col riconoscimento delle attenuanti generiche solo a Di Cerbo.
Pertanto Fevola e D’Abrosca sono stati condannati a 2 anni di reclusione e Di Cerbo a un anno e quattro mesi col pagamento delle spese processuali per tutti.
Il processo
Giovedì 16 aprile 2020, il GIP del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha depositato la motivazione della sentenza, emessa a seguito di giudizio abbreviato, con la quale ha condannato Di CERBO Valentino, ex Vescovo della Diocesi Alife-Caiazzo, nonché la perpetua D’ABROSCA Rosa Cristina, e il marito di lei, FEVOLA Giovanni, per il delitto di circonvenzione di incapace aggravato dal danno patrimoniale di rilevante gravita e dall’abuso di relazioni domestiche, perpetrato in concorso tra loro ai danni dell’anziano sacerdote LEONE Giuseppe, poi deceduto nel corso del processo.
In particolare, Di CERBO Valentino, abusando della propria autorità derivante dall’essere Vescovo della Diocesi di Alife-Caiazzo, D’ABROSCA Cristina, abusando della sua qualità di aiutante domestica del Leone, e FEVOLA Giovanni, marito della D’ABROSCA e perfettamente consapevole delle mansioni svolte dalla moglie, al fine di procurarsi un ingente profitto, approfittando dello stato di deficienza psichica dell’anziano sacerdote LEONE Giuseppe, le cui capacita di autodeterminazione e comprensione erano fortemente compromesse a causa delle gravi lacune mnesiche riscontrate, inducevano il predetto prelato a compiere movimentazioni finanziarie nonché atti traslativi di natura patrimoniale in loro favore, per un importo complessivo di € 894.636,30, ciò avveniva in un breve lasso temporale, tra l’anno 2012 e l’anno 2013.
In un giudizio precedente, i due coniugi erano stati assolti dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere dalle accuse mosse nei loro confronti in relazione all’appropriazione di ulteriori somme di denaro ai danni di LEONE Giuseppe, ma le indagini successive, relative ad altre condotte di circonvenzione contestate sia ai coniugi D’ABROSCA- FEVOLA che al Vescovo Di CERBO, hanno invece condotto alla condanna per tutti e tre i concorrenti nel reato.
Il GIP ha, infatti, ritenuto pienamente convincente il materiale probatorio raccolto durante la fase investigativa dalla Compagnia dei CC di Piedimonte Matese coordinati da questo Ufficio, nonché i risultati delle consulenze tecniche disposte dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere sulle operazioni economiche poste in essere dagli imputati e sullo stato di salute psico-fisico del sacerdote vittima del reato.
Il LEONE, infatti, versava in uno stato di demenza senile progressiva che ne aveva compromesso le capacita mnemoniche e ne aveva deteriorato quelle cognitive: le operazioni economiche dismissive del suo patrimonio sono state ritenute non avere altro scopo se non quello di arricchire i tre imputati, in contrasto con le reali volontà del sacerdote che, quando era nel pieno delle sue capacita, come accertato, aveva inteso destinare il proprio ingente patrimonio non agli imputati ma ad istituzioni benefiche (peraltro diverse dalla Diocesi di Alife).
La vicenda
Il vescovo Valentino Di Cerbo era sotto processo con l’accusa di aver raggirato un anziano prete a cui avrebbe sottratto -con l’aiuto di altre due “sante” figure- 894mila euro.
É uno scandalo autentico quello venuto alla luce nella diocesi di Alife Caiazzo con il processo per circonvenzione di incapace.
Un reato compiuto in concorso con altri, precisamente con due persone di Piedimonte Matese: Rosa Cristina D’Abrosca e Giovanni Fevola. Avrebbero prosciugato il conto corrente ad un anziano prete: don Leone, di cui D’Abrosca era la perpetua.
Secondo l’accusa il vescovo Di Cerbo si sarebbe appropriato di oltre 894mila euro, che erano nelle disponibilità dell’anziano sacerdote. E l’avrebbero fatto approfittando delle ridotte capacità cognitive, legate all’incedere dell’età, della loro presunta vittima.
Don Leone avrebbe firmato un assegno di 30mila euro a favore della sua perpetua. Poi il parroco, probabilmente, in un momento di lucidità, denuncia ai carabinieri di essere stato raggirato.
Mentre i carabinieri indagano entra in azione il vescovo Di Cerbo che convoca i militari in curia; gli stessi carabinieri una volta giunti in curia trovano, oltre al vescovo, anche la perpetua, D’Abrosca, e don Leone.
L’anziano parroco cambia la sua versione affermando che quei 30.000 euro li aveva dati volontariamente, e in piena coscienza, alla D’Abrosca per ricompensarla dell’assistenza fornita. Secondo l’accusa quella versione “addomesticata”, probabilmente “ordinata” dallo stesso vescovo all’anziano parroco.
Le indagini dei militari vanno avanti e raccolgo prove sufficienti per spingere il giudice ad emettere un decreto di sequestro dei conti nella disponibilità diretta del vescovo Valentino Di Cerbo.
Si scopre così che nel gennaio 2013 dal conto intestato a don Leone, venne emesso un vaglia per un importo complessivo pari ad euro 450.000 euro di cui risultò beneficiario proprio il vescovo Di Cerbo; contestualmente, fu effettuato un versamento pari ad euro 225.000 euro sul conto intestato a Giovanni Fevola e Rosa Cristina D’Abrosca (importo che sarebbe stato reinvestito nella sottoscrizione di una polizza assicurativa). Successivamente fu emesso un buono per un importo di 225.000 euro intestato al vescovo Di Cerbo.
Anche questi soldi finirono sul conto di sua eccellenza. Il buono fu congelato con un contratto a lungo termine, con scadenza 4 gennaio 2033. Ma poi venne riscosso dopo 20 giorni, precisamente il 22 gennaio 2013, e successivamente versato, in aggiunta di altri euro 100.000 su un libretto di deposito postale, ovviamente sempre intestato a sua eccellenza.
Sempre a gennaio 2013 dal conto intestato a don Leone fu emesso un altro vaglia per un importo complessivo di 381mila euro di cui risultava beneficiario Di Cerbo, il quale lo riscosse.
Intanto altri 200.000 euro arrivarono sul libretto di deposito a risparmio del vescovo, con successiva sottoscrizione di un buono postale di euro 270.000 intestato ai coniugi Giuseppe Leone e Rosa Cristina D’Abrosca, di cui euro
181.000 derivanti dalla riscossione del vaglia menzionato e i restanti 89mila euro derivanti da altre operazioni.
Il 31 dicembre 2012, alcuni giorni prima di queste operazioni, fu sottoscritto un buono fruttifero dematerializzato per un importo pari ad euro 63.700 cointestato a Giuseppe Leone e al vescovo Di Cerbo, rimborsato in data 4 gennaio 2013 per un importo pari ad 63,636,30, con firma del solo Di Cerbo, confluendo sul libretto di deposito risparmio sempre intestato a monsignor Di Cerbo.
Operazioni che comportarono, secondo la prospettazione della Procura, per don Giuseppe Leone effetti pregiudizievoli ed economicamente dannosi a causa della ridotta capacità di quest’ultimo di autodeterminarsi e di avere cura dei propri interessi.
La Procura ha anche effettuato un accertamento fiscale nei confronti degli indagati, appurando una sperequazione economico-patrimoniale tra quelli effettivamente posseduti e quelli dichiarati.
In conclusione il Gip, accogliendo la richiesta della Procura, ha convalidato il sequestro dei 488,636,30 euro nella disponibilità del vescovo Valentino Di Cerbo, limitatamente agli importi che allo stato sono stati rinvenuti pari a 17.567,34 euro e 406.000 euro nell’attuale disponibilità della perpetua Rosa Cristina D’Abrosca e di suo marito Giovanni Fevola.
(Giancarlo Izzo – Fonte & Aggiornamenti: https://www.paesenews.it/?p=187948&fbclid=IwAR3mGYuX4DEJwa63NQO8ST3JhLbsuimJ8GJOyq91y5If6Cgpm0YOFRjOVvU – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web© Diritti riservati all’autore)