Epidemia da Covid-19: cosa sta succedendo
In prima linea per il Covid-19, il dottor Carlo Alfaro fa il punto della situazione partendo dall’origine fino alla sua attuale evoluzione
Il dottor Alfaro è Dirigente Medico di Pediatria presso gli Ospedali Riuniti Stabiesi, componente della Consulta Sanità del Comune di Sorrento, Consigliere Nazionale di SIMA e Responsabile del Settore Medicina e Chirurgia dell’Associazione Scientificò-culturale SLAM
di Carlo Alfaro
Il Coronavirus è in Italia. La Cina sembrava così lontana con i suoi malati e morti di Coronavirus e le immagini surreali di intere città svuotate e spente, che osservavamo a distanza come fosse un medical thriller, eppure, a distanza di due mesi dall’esordio dell’epidemia, in pochi giorni è cambiato tutto e addirittura l’Italia è tra i tre Paesi, con Corea del Sud e Iran, che rilevano il più alto numero di casi al di fuori della Cina (forse, dicono gli esperti, anche perché li abbiamo cercati più attivamente di altri Paesi europei) e ci sono addirittura 24 casi, secondo l’Oms, esportati dall’Italia in 14 Paesi, compresa la Cina stessa.
Mentre il Presidente della Repubblica, in una dichiarazione alla Nazione, invita ad essere uniti per sconfiggere il virus, e sempre più Paesi chiudono le frontiere agli Italiani, considerati pericolosi per la trasmissione del nuovo virus, ogni giorno attendiamo con apprensione il bollettino diffuso in conferenza stampa alle 18 dal commissario straordinario per l’emergenza Coronavirus, e capo della protezione civile, Angelo Borrelli.
All’8 marzo, una surreale Giornata della Donna senza feste e senza baci e abbracci, si contano 7.375 contagiati, di cui 650 in terapia intensiva e 366 deceduti. Solo nelle ultime 24 ore ci sono stati 1.492 nuovi contagi, 769 dei quali nella sola Lombardia, e 133 decessi. Sono coinvolte tutte e 20 le Regioni, nell’ordine: 4.189 casi in Lombardia, 1.180 in Emilia-Romagna, 670 in Veneto, 360 in Piemonte, 272 nelle Marche, 166 in Toscana, 101 in Campania, 87 in Lazio, 78 in Liguria, 57 in Friuli Venezia Giulia, 53 in Sicilia, 40 in Puglia, 26 in Umbria, 23 in Provincia autonoma di Trento, 17 in Abruzzo, 14 in Molise, 11 in Sardegna, 9 in Provincia autonoma di Bolzano, Valle d’Aosta, Calabria, 4 in Basilicata.
La diffusione del contagio
L’epidemia in Italia è cominciata in due focolai, apparentemente non collegati tra di loro: uno nel lodigiano, in Lombardia, costituito da 10 piccoli Comuni abitati da un totale di oltre 50mila persone, e un altro in Veneto, nell’area di Vo’ Euganeo, in provincia di Padova. La maggior parte dei restanti casi in Italia sarebbero collegati ad importazioni dal “cluster” lombardo-veneto.
Il primo caso di contagio locale in Italia (caso “indice” o paziente numero 1) è stato annunciato nella notte tra il 20 e il 21 febbraio: un 38enne di Castiglione d’Adda, in provincia di Lodi, affetto da una forma grave e ricoverato tuttora all’ospedale di Codogno (i casi precedenti, il 30 gennaio una coppia di turisti cinesi provenienti da Wuhan, città focolaio dell’epidemia, e il 6 febbraio un ricercatore italiano arrivato dalla Cina, curati e guariti allo Spallanzani di Roma, erano importati e non hanno dato luogo a focolai).
Nei giorni precedenti al ricovero, il 38enne ha condotto la vita di tutti i giorni: è andato al lavoro, nel reparto amministrazione dell’Unilever di Casalpusterlengo, ha partecipato a due corse – una mezza maratona a Santa Margherita Ligure il 2 febbraio e una il 9 con la sua squadra a Sant’Angelo Lodigiano – ha giocato a calcetto, è stato ad almeno tre cene e incontri di lavoro.
Dal caso indice il virus si è diffuso a macchia d’olio, considerando che il paziente ha avuto nei due giorni prima della diagnosi rapporti con 120 colleghi, 80 persone della sua più stretta cerchia di amici, a partire dai 40 della sua squadra di corsa, 70 tra medici e personale sanitario, oltre ad altri pazienti, anche perché all’ospedale di Codogno, dove ha praticato due accessi, non essendo stato subito diagnosticato, è stato trattato senza le precauzioni del caso, trasformandosi in uno spaventoso amplificatore del contagio.
Non è stato possibile individuare, invece, il paziente o i pazienti zero da cui è partito il contagio, il che avrebbe consentito di tracciare l’intera linea della catena del contagio e tutti i rami di diffusione dell’epidemia, ma oramai, data l’ampia diffusione raggiunta, questo non ha più importanza.
Gli esperti presuppongono che il virus, venuto dalla Cina, abbia iniziato a circolare nel Nord-Est d’Italia, che ha forti contatti commerciali con il Paese orientale, già prima della fine di gennaio, quando ancora i voli non erano bloccati: vari soggetti non identificati avranno preso l’infezione in forma lieve, con sintomi comuni (febbre, tosse) e l’avranno diffusa nell’epicentro dell’epidemia, nel lodigiano; altri “pazienti zero” potrebbero essere implicati in altri piccoli focolai.
Dopo il primo caso clinicamente rilevante, l’Italia ha adottato la strategia di sottoporre al prelievo con tampone faringeo per la ricerca del virus tutti i contatti delle persone malate, arrivando ad eseguire ad oggi oltre 34mila tamponi, a dispetto delle indicazioni dell’Oms di ricercare il virus solo in presenza di sintomi di sospetto e su eventuali contatti stretti di casi confermati, dato che la positività del test non fornisce indicazioni utili ai fini clinici o terapeutici.
Dal 27 febbraio, il Consiglio superiore di sanità ha deciso di cambiare la strategia di rilevazione: non più test a tappeto anche a soggetti asintomatici ma solo a chi ha i sintomi di un’infezione respiratoria sospetta, cioè con sintomi simil-influenzali (ILI: Influenza-Like Illness, definita dall’improvviso e rapido insorgere di almeno uno tra i sintomi generali di febbre/febbricola, malessere/spossatezza, mal di testa, dolori muscolari e, almeno uno tra i sintomi respiratori di tosse, mal di gola, respiro affannoso) e proviene da una zona a rischio o ha avuto stretto contatto con un caso confermato negli ultimi 14 giorni, oppure con sintomi gravi quali Sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS: Acute Respiratory Distress Syndrome,) o Infezione Respiratoria Acuta Grave (SARI: Severe Acute Respiratory Infections).
La nascita dell’epidemia
Il 31 dicembre 2019, la Commissione Sanitaria Municipale della città di Wuhan, nella provincia cinese di Hubei, ha segnalato all’Oms un cluster (focolaio) di casi di polmonite ad eziologia ignota con quadro radiografico a vetro smerigliato. Wuhan è una metropoli di 11 milioni di abitanti, dotata di aeroporto, ed è la città più grande della Cina centrale. L’epidemia è esplosa in modo esponenziale e dall’epicentro i casi sono stati esportati in altre città cinesi e fuori dalla Cina. Il 9 gennaio 2020, il China CDC (Center for Disease Control) ha identificato e sequenziato quale agente eziologico dell’epidemia un nuovo ceppo di Coronavirus, che non era mai stato trovato prima negli esseri umani, denominato provvisoriamente “novel 2019 Coronavirus” o 2019-nCoV. Il 20 gennaio la National Health Commission cinese (massima istituzione sanitaria nel Paese) ha confermato che il nuovo virus si può trasmettere da uomo a uomo, il che ne fa un virus potenzialmente capace di creare una pandemia. Gli studi sui genomi virali isolati suggeriscono che il virus si sia sviluppato presso il mercato ittico di Wuhan, dove, passando da un animale serbatoio ancora sconosciuto all’uomo, sarebbe mutato acquisendo la possibilità di trasmettersi ad altri umani. I contagi sarebbero iniziati tra la seconda metà di ottobre e la prima metà di novembre 2019, ma è stato a dicembre 2019 che il virus ha manifestato una forte accelerazione nella capacità di propagazione, avendo probabilmente acquisito una maggiore rapidità ed efficienza di trasmissione.
Il salto di specie
Per passare da una specie all’altra (“salto di specie” o “spillover”) i virus devono mutare il loro patrimonio genetico. I Coronavirus, come gli altri virus a RNA, tendono a mutare facilmente. Anche in casi precedenti di gravi epidemie influenzali erano in gioco nuove varianti virali che dal serbatoio animale si erano adattate all’uomo: la SARS nel 2002 dai pipistrelli agli zibetti e poi all’uomo, nel 2009 l’influenza A H1N1 (aviaria) dagli uccelli ai suini e da questi all’uomo, nel 2012 la MERS dai pipistrelli ai dromedari e poi all’uomo.
Dopo il salto di specie, il virus può mutare ancora e diventare capace di passare da uomo a uomo, moltiplicando esponenzialmente la capacità di diffusione. Non è ancora chiaro in quale specie si sia originato il nuovo Coronavirus. Le analisi genetiche suggeriscono che i pipistrelli siano i suoi ospiti originali, dato il suo stretto legame con altri coronavirus che circolano in questo mammifero, tuttavia un altro animale (probabilmente presente al mercato ittico di Wuhan) ha agito da ospite intermediario (transfert) tra pipistrelli e umani. L’ipotesi dei serpenti, nei quali il virus, trasmesso dai pipistrelli, si sarebbe ricombinato e poi passato all’uomo per ingestione, è poco accettata dato che i Coronavirus hanno infettato sinora solo mammiferi e uccelli e non ci sono evidenze che possa svilupparsi in altre specie animali.
Il micidiale salto di specie del virus si collega strettamente comunque ai mercati di animali vivi diffusi in Asia e in Africa, detti “wet market” (“mercati bagnati”) per l’abbondante quantità di acqua usata per ripulire i pavimenti: in questi luoghi si vendono animali vivi di ogni tipo (anche selvatici) destinati all’alimentazione umana, in condizioni igieniche scadenti per l’estremo affollamento e l’eccessiva promiscuità tra animali, alimenti e uomo, che possono creare un mix epidemiologico esplosivo: spesso gli animali sono macellati e scuoiati sul posto, col rischio di diffondere goccioline di sangue e liquidi organici nell’aria e infettare cibi e bevande, mentre mani non pulite possono toccare e contaminare la merce. Inoltre un fattore di rischio è collegato al consumo, collegato a questi mercati, della “bushmeat”, letteralmente “carne da cespuglio”, la selvaggina tropicale (scimmie, roditori, uccelli, rettili) che è una fonte di cibo classica nelle culture di popolazioni di Asia, Africa e Sudamerica. L’infezione è partita tra quanti avevano frequentato il Mercato Ittico Huanan della città di Wuhan: un mercato di prodotti ittici dove oltre al pesce fresco e ai frutti di mare vengono esposti e venduti animali vivi, domestici e selvatici, quali volatili, conigli, maiali, pipistrelli, serpenti, tassi, porcospini, zibetti, molti dei quali noti come riserve di virus capaci di “saltare” all’uomo.
I Coronavirus
I Coronavirus (CoV) sono una vasta famiglia di virus a RNA responsabili di infezioni respiratorie, chiamati così per le punte a forma di corona che sono presenti sulla loro superficie quando osservati al microscopio elettronico, che sono un fattore di virulenza, perché costituite da glicoproteine per l’aggancio alle membrane delle cellule dell’organismo. I coronavirus sono presenti in molte specie animali (uccelli, mammiferi di allevamento, cammelli, pipistrelli) che fungono da serbatoio per la loro diffusione, ma in alcuni casi possono evolversi e infettare l’uomo (virus “zoonotici”).
Si conoscono almeno 6 ceppi che infettano esseri umani – ora 7, col nuovo virus cinese. Nella specie umana, sono responsabili di comuni raffreddori, influenza e patologie del sistema respiratorio. Si stima che i 4 Coronavirus 229E, NL63, OC43 e HKU1 siano ormai endemici anche alle nostre latitudini e nel complesso causino circa un terzo dei raffreddori comuni. Nell’ambito di quelli tipizzati come Beta-Coronavirus, ci sono alcuni ceppi capaci di dare una sintomatologia importante e potenzialmente fatale, quali il SARS-CoV, responsabile della SARS (Severe acute respiratory syndrome) e il MERS-CoV, responsabile della MERS (Middle east respiratory syndrome), gravi epidemie occorse negli anni scorsi.
La SARS (Sindrome respiratoria acuta grave) apparve inizialmente in Cina nella provincia del Guangdong nel novembre 2002, e tra il 2002 e il 2003 provocò quasi 8.500 casi con oltre 800 decessi in 37 Paesi del mondo, con una mortalità di circa il 10 per cento. Il numero maggiore di decessi si ebbe in Cina, seguita da Hong Kong, Taiwan, Canada e Singapore (4 casi in Italia).
La MERS (Sindrome respiratoria mediorientale) è stata una grave epidemia sviluppatasi da un focolaio in Arabia Saudita nel giugno 2012, con 2.494 casi e 858 morti, manifestando, rispetto alla SARS, una maggiore letalità (del 35%) ma una minore contagiosità.
L’analisi del patrimonio genetico del nuovo virus lo rende vicino a SARS-CoV e MERS-CoV per il 70-80%, tuttavia è ancora più simile ad altri due patogeni (bat-SL-CoVZC45 e bat-SL-CoVZXC21) che infettano i pipistrelli e che sono stati identificati nel 2018 nella Cina orientale. Dal punto di vista epidemiologico, il nuovo Coronavirus presenta rispetto a SARS e MERS maggiore infettività ma minore letalità, benchè non trascurabile.
Denominazione del nuovo virus
Il nuovo Coronavirus cinese è stato denominato dall’International Committee on Taxonomy of Viruses (ICTV), che si occupa della designazione e della denominazione di tutti i virus, “SARS-CoV-2” ovvero “Sindrome respiratoria acuta grave coronavirus 2” e la malattia che provoca “Covid-19” dove “Co” sta per corona, “vi” per virus, “d” per disease e “19” per l’anno in cui si è manifestata.
Diffusione
SARS-CoV-2 è un virus respiratorio che, come gli altri Coronavirus, si diffonde da una persona a un’altra attraverso contatto ravvicinato: saliva, goccioline del respiro eliminate attraverso tosse e starnuti, contatti diretti personali (come toccare o stringere la mano e portarla alle mucose), o con oggetti o superfici contaminati dal virus portandosi poi le mani (non lavate) su bocca, naso, occhi; non è contemplata per i virus respiratori la trasmissione alimentare, ma è al vaglio della comunità scientifica la trasmissione per via oro-fecale. Gli occhi, attraverso la congiuntiva, sembrerebbero una potenziale via di ingresso della infezione virale. Il principale “driver” di trasmissione del virus sono persone ammalate con evidenti sintomi; le persone nella fase pre-sintomatica, quando sono cioè asintomatiche ma di lì a poco svilupperanno la patologia, sono potenzialmente infettive nelle 48 ore antecedenti ai sintomi.
Ci sono invece dubbi sull’esistenza di “portatori sani”, che peraltro aumenterebbero i contagi e ne renderebbero molto più complicata la prevenzione: una delle caratteristiche della SARS che ha permesso di limitarne la diffusione, infatti, è stata proprio la rarità di casi asintomatici. Benchè le autorità di Hong Kong abbiano segnalato che sulla mucosa orale e nasale di un cane asintomatico appartenente ad una donna colpita dal SARS-CoV-2 sono state trovate tracce dello stesso virus, al momento c’è accordo sul fatto che cani o gatti non possano essere infettati né essere una fonte di infezione per l’uomo.
Incubazione
Si stima che il periodo di incubazione, cioè il tempo tra il contatto con la persona che contagia e il manifestarsi dei sintomi, vari da 0 a 14 giorni, più spesso 2-10 giorni, con la media di 5-7 gg, mentre l’intervallo seriale, cioè il tempo che passa tra l’insorgere dei sintomi nell’individuo che contagia e l’insorgere dei sintomi nell’individuo che è stato contagiato, vada dai 4,4 ai 7,5 giorni. Per precauzione, il contatto si considera potenzialmente contagioso fino a 14 giorni dopo l’esposizione all’ammalato.
Contagiosità
In epidemiologia per poter valutare contagiosità e velocità di diffusione di una malattia infettiva si ricorre a un indicatore, R0 (“R naught”, cioè R-zero) che indica il numero di individui che è capace di contagiare una persona ammalata: se ogni persona ne contagia un’altra, R0 equivale a 1, se l’indicatore risulta superiore al valore 1, significa che ogni persona ne sta contagiando più di una, e più il valore cresce, più l’agente patogeno si sta diffondendo velocemente. Il morbillo, uno dei virus più contagiosi, ha in valore R0 fino a 15-18, la parotite circa 10, la pertosse 5, il virus Ebola pari a 2, anche perché data l’alta letalità molte persone infette muoiono prima di poter contagiare.
Per il Covid-19, la stima di R0 è intorno a 2,5 (ogni persona infetta ne contagia altre 2 o 3), grossomodo come per la SARS e altre influenze, compresa quella spagnola del 1918 e la pandemia di influenza H1N1 del 2009.
Quando R0 è inferiore a 1, cioè ogni infetto non contagia almeno un’altra persona, la diffusione si arresta da sola, mentre se R0 è maggiore della soglia critica di 1, si può sviluppare un’epidemia. Obiettivo della prevenzione primaria, ridurre il valore di R0, cioè limitare il più possibile i contagi per rallentare l’espansione esponenziale del virus.
Come è accaduto attualmente in Cina, dove il picco dei contagi è stato raggiunto e superato proprio ed esclusivamente grazie alle misure iper-restrittive che sono state applicate, bloccando in casa un centinaio di milioni di persone, il che ha trascinato giù e mantenuto basso a forza il tasso di contagio (R0): nel momento in cui le misure di isolamento sociale venissero allentate, è probabile che R0 tornerebbe al suo valore “naturale” di 2,5 e il contagio ricomincerebbe a diffondersi.
Poiché i casi sintomatici sono solo la punta dell’iceberg dell’epidemia, non basta isolarli per contenere i contagi, ma si rende opportuno il “distanziamento sociale” per ridurre la velocità di diffusione del virus.
Fin quando si hanno solo casi isolati e sporadici che sono importati da focolai epidemici a distanza il rischio epidemico è ancora contenuto, ma quando si verificano casi autoctoni a trasmissione locale, ovvero in soggetti non direttamente provenienti dalle aree a rischio, si entra in una nuova e più pericolosa fase dell’epidemia, che degenera ancora di più se si contano focolai plurimi che si accendono contemporaneamente in più parti: a quel punto non vale più per il sospetto clinico il criterio epidemiologico di contatto con una persona che o ha il virus o è stata in un paese ad alto rischio, perché chiunque potrebbe avere il virus.
Le misure draconiane, cioè rigorosissime e intransigenti, prese dalla Cina e ora anche in Italia per il contenimento della diffusione, mirano ad evitare di entrare nella fase incontrollabile, come si riuscì a fare per la SARS, che a un anno dalla diffusione si arrestò, grazie allo sforzo a livello globale di controllare l’epidemia attraverso l’isolamento e il tracciamento di contatti, ma ciò fu più facile perché la trasmissione avveniva dopo l’insorgenza dei sintomi, non in fase pre-sintomatica o asintomatica.
Sintomatologia
L’infezione da Covid-19 causa una malattia respiratoria acuta che nella maggior parte dei casi colpisce le vie aeree superiori, con sintomi tipici e non specifici di un’influenza classica, come febbre, raffreddore, tosse secca e insistente, respiro corto, gola secca e dolente, stanchezza, dolori ossei e muscolari, mal di testa, malessere generale, più raramente nausea, vomito, diarrea (quest’ultimo sintomo, secondo una ricerca cinese, sarebbe uno dei più presenti, confermando la possibilità di una trasmissione oro-fecale del virus).
Nei casi più gravi, l’infezione può causare una polmonite virale primaria che può provocare una sindrome respiratoria acuta grave con difficoltà respiratoria fino a distress respiratorio, shock settico, insufficienza multipla di organi e morte. Una forma inizialmente lieve, simil-influenzale, può progredire in una forma grave, soprattutto in persone anziane e/o con condizioni cliniche pre-esistenti (comorbidità).
Il primo studio “di massa” effettuato dal Chinese Centre for Disease Control and Prevention (Centro per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie della Cina) su oltre 72mila casi registrati dall’inizio dell’epidemia fino all’11 febbraio, pubblicato lo scorso 17 febbraio su Chinese Journal of Epidemiology e ripreso poi da Jama, documenta che nell’80,9% dei casi Covid-19 causa una malattia lieve, nel 13,8% grave (con dispnea, polipnea, saturazione di ossigeno nel sangue inferiore al 93%, infiltrazioni polmonari tra le 24 e le 48 ore) e nel 4,7% critica (con insufficienza respiratoria, shock settico e disfunzione multiorgano). Il tasso di mortalità è risultato del 2,3%, con un rischio più elevato per pazienti con oltre 60 anni che presentavano patologie di base (pazienti “fragili”).
Gli uomini hanno manifestato maggiori probabilità di decesso (2,8%) rispetto alle donne (1,7%). La maggior parte dei pazienti hanno tra i 30 e i 79 anni, il 3% è costituito da adulti oltre gli 80 anni, mentre i bambini tra gli 0 e i 9 anni e i giovani tra i 10 e i 19 rappresentano ognuno l’1% dei casi totali. I ricercatori hanno osservato una riduzione del numero di linfociti nella maggior parte dei pazienti, come nella SARS.
L’evoluzione
Si stima attualmente che, su 100 persone colpite da Covid-19, 80 hanno sintomi assenti o lievi e guariscono a domicilio, 15 hanno una malattia seria da gestire in ambiente sanitario, 5 hanno forme gravi che richiedono assistenza intensivistica, e 3 muoiono, soprattutto se con gravi condizioni di salute di base. Per le persone con malattia lieve, il tempo di recupero è di circa due settimane, mentre le persone con malattia grave o critica guariscono entro 3-6 settimane.
Al di là della letalità, un aspetto preoccupante del Covid-19 è l’elevato tasso di ricoveri necessari, che potrebbe, in caso di rapida diffusione del contagio tra le persone suscettibili (potenzialmente, tutta la popolazione, essendo un virus nuovo per la specie umana) avere un impatto devastante sui sistemi sanitari. In Italia, in particolare, abbiamo una popolazione tra le più anziane del mondo: la demografia che caratterizza il nostro Paese ci espone sicuramente a rischi elevati di mortalità da Covid-19, in caso di epidemia, anche considerando che in Italia sono meno di 5mila i posti in terapia intensiva, essendone stato tagliato negli ultimi dieci anni il 7-8%. Già dalla Lombardia, arrivata ormai al limite delle proprie capacità di assistenza, con oltre 2.700 malati, 359 dei quali in terapia intensiva (solo il 28 febbraio erano 50), è stato preannunciato il trasferimento di pazienti nelle Regioni vicine, Piemonte e Liguria.
La mortalità
In epidemiologia si studiano due parametri circa la capacità di un evento patogeno di causare la morte: il tasso di letalità e il tasso di mortalità. Il tasso di letalità è il rapporto tra morti per una malattia e il numero totale di soggetti affetti dalla stessa malattia, mentre il tasso di mortalità è il rapporto tra il numero di morti e il totale della popolazione media presente nel periodo di osservazione (e non il numero di malati). L’Oms ha riportato per il Covid-19 una letalità pari a circa il 3,4% degli ammalati, dunque superiore all’influenza stagionale (1%), anche se inferiore a SARS (9.6%) e MERS (34,4%), rispetto alle quali, in assoluto, sta causando un numero molto maggiore di decessi, per il numero elevato di persone colpite, data la superiore contagiosità.
La letalità potrebbe essere tuttavia sovrastimata perchè non è possibile considerare tutti i potenziali casi asintomatici o pauci-sintomatici. Il tasso di mortalità è compreso tra il 2% e il 4% e, proprio come l’influenza, aumenta nelle persone sopra i 65 anni e/o con altre patologie di base, precipitate dal virus, soprattutto le malattie cardiovascolari (10,5%), il diabete (7,3%), le malattie respiratorie croniche e l’ipertensione (6%), il cancro (5,6%). Fino a 39 anni, il tasso di mortalità rimane basso (0,2%) per poi aumentare gradualmente con l’aumentare dell’età: tra i 40 e i 49 anni, è pari allo 0,4%, tra i 50 e i 59 è dell’1,3%, per salire al 3,6% tra i 60 e i 69 anni, all’8% dai 70 anni e al 14,8% dagli 80 anni.
Nella casistica italiana, riportata al 4 marzo dall’Istituto superiore di Sanità, l’età media dei pazienti deceduti è stata di 81 anni, in maggioranza maschi e in più di due terzi dei casi con patologie preesistenti (ipertensione, cardiopatia ischemica, diabete mellito): oltre l’80% più di due malattie, il 60% più di tre e solo il 2% senza alcuna co-morbidità.
Rischi in gravidanza e allattamento
Le donne in gravidanza sono considerate in genere una popolazione a rischio per le infezioni respiratorie virali, per cui è innanzitutto fondamentale per loro la prevenzione primaria come lavarsi accuratamente le mani ed evitare il contatto con soggetti malati o sospetti. Secondo una revisione pubblicata su Lancet, non ci sarebbero prove di trasmissione intrauterina dell’infezione da Sars-CoV-2 e quindi di passaggio verticale della malattia dalla madre al feto. Allo stato attuale delle conoscenze, per le donne infette non esiste indicazione elettiva al taglio cesareo. Il Covid-19 non è stato rilevato nel latte materno delle donne affette, per cui l’allattamento al seno viene liberamente consentito, con le rigorose misure per prevenire l’eventuale trasmissione dell’infezione per via aerea o per contatto con le secrezioni nel post partum, come l’accurata igiene delle mani e l’uso della mascherina durante la poppata. Sulla base degli ancora limitati dati disponibili in letteratura, l’infezione postnatale da Sars-CoV-2 sembrerebbe comunque non essere grave o risultare addirittura asintomatica rispetto a quanto avviene nelle età successive.
I bambini e gli adolescenti
Sulla base dei dati dell’Oms in Cina, solo il 2,4% dei casi di infezione da Covid-19 sono stati segnalati nella fascia di età inferiore ai 19 anni, e solo una piccola parte di questi (il 2,5%) ha sviluppato una forma severa della malattia, mentre in genere si osservano quadri clinici sfumati e decorso non grave; nessun decesso segnalato. Non è noto perché l’età evolutiva sembri preservata dall’attuale epidemia di Coronavirus: si è ipotizzato per una minore probabilità di esposizione al virus date le principali modalità di diffusione iniziale dell’epidemia (mercato di Wuhan, ospedalità), oppure perché I bambini entrano frequentemente in contatto con altri Coronavirus, implicati in patologie respiratorie banali come il raffreddore, e questo potrebbe creare una risposta anticorpale tale da proteggerli. Anche per la SARS, su 8.000 casi, le diagnosi pediatriche furono poche: solo 80 casi confermati in laboratorio e 55 casi probabili o sospetti, con sintomi più lievi rispetto agli adulti e nessun decesso. Allo stesso modo, durante l’epidemia di Mers nel 2016, il World Journal of Clinical Paediatrics ha riportato come il virus fosse raro nei bambini, anche se la ragione della bassa prevalenza non era nota.
La diagnostica
La ricerca dell’infezione si effettua attraverso tampone rino-faringeo e test diagnostico Real Time PCR per SARS-CoV-2; richiede normalmente 16 ore. Vengono effettuati da un centro ospedaliero di riferimento, mediamente uno per ogni Regione. I test effettuati nei centri di riferimento regionali sul territorio devono poi essere validati presso il laboratorio dell’Istituto Superiore di Sanità, benchè fino ad ora si sia trovata una concordanza del 100%. Sono in fase di sperimentazione avanzata anche test rapidi che permettono di identificare l’infezione in poche ore.
La classificazione dei casi di Covid 19
il Ministero della Salute con una circolare ad hoc ha fornito precise indicazioni sulla definizione di caso “sospetto”, “probabile”, “confermato”, e di “contatto stretto”.
Caso sospetto, che richiede esecuzione di test diagnostico: una persona con infezione respiratoria acuta (insorgenza improvvisa di almeno uno tra i seguenti segni e sintomi: febbre, tosse e difficoltà respiratoria) che richieda o meno il ricovero ospedaliero e che soddisfi almeno uno dei seguenti criteri epidemiologici (riferiti al periodo di tempo dei 14 giorni precedenti la comparsa dei segni e dei sintomi): essere un contatto stretto di un caso confermato o probabile, o essere stato in zone con presunta trasmissione comunitaria.
Caso probabile: un caso sospetto positivo al test presso i laboratori di riferimento regionali.
Caso confermato: un caso con una conferma di laboratorio effettuata presso il laboratorio di riferimento dell’Istituto Superiore di Sanità.
Contatto stretto: chi vive nella stessa casa di un caso confermato, o che ha avuto un contatto fisico diretto (per esempio la stretta di mano) o indiretto (ad esempio toccare a mani nude fazzoletti di carta usati) o ravvicinato (faccia a faccia o in ambiente chiuso, a distanza minore di 2 metri e di durata maggiore a 15 minuti) con un caso confermato, o un operatore sanitario che abbia fornito assistenza diretta a un caso o personale di laboratorio addetto alla manipolazione di campioni di un caso, senza l’impiego dei dispositivi di protezione raccomandati, o infine una persona che abbia viaggiato seduta in aereo nei due posti adiacenti.
Terapia
Contro la malattia Covid-19 causata dal nuovo Coronavirus SARS-CoV2 non esistono al momento terapie specifiche, ma solo sintomatiche oltre che, nei casi più gravi, il supporto meccanico alla respirazione. Sono in corso trials clinici promossi dall’Oms con terapie antivirali sperimentali, con il lopinavir/ritonavir, un antivirale utilizzato per l’infezione da Hiv attivo anche sui Coronavirus, e il remdesivir, un antivirale già utilizzato per la malattia da Virus Ebola e potenzialmente attivo contro l’infezione da nuovo Coronavirus.
Questi farmaci sono stati utilizzati anche per trattare i due coniugi cinesi e il ricercatore italiano, guariti dallo Spallanzani di Roma. Anche sul favipiravir, un farmaco antinfluenzale disponibile nei mercati stranieri, è in corso uno studio clinico controllato. Buoni risultati ha dimostrato pure una terapia che utilizza il plasma dei pazienti guariti. Anche la clorochina fosfato, farmaco ampiamente utilizzato contro malaria e malattie autoimmuni da oltre 70 anni, è stato impiegato con buoni risultati nel trattamento di 285 pazienti gravemente malati di Covid-19 in un ospedale di Wuhan.
In corso in Cina anche sperimentazioni con tocilizumab, un anticorpo monoclonale ad attività anti-infiammatoria (blocca gli effetti dell’interleuchina-6) usato nell’artrite reumatoide, e con le cellule staminali. Poiché il virus per penetrare nelle cellule alveolari utilizza l’endocitosi tramite l’angiotensin-converting enzyme 1 come recettore d’entrata, modelli di intelligenza artificiale predicono che il Baricitinib, un immunosoppressore che agisce inibendo enzimi noti come Janus Chinasi, usato per curare l’artrite reumatoide, sarebbe potenzialmente in grado di contrastarne l’azione. Intanto, passi avanti si stanno facendo anche sul fronte del vaccino, per la cui disponibilità si dovrà, comunque ancora attendere vari mesi. L’Oms ha riferito che ci sono più di 20 vaccini in via di sviluppo a livello globale.
Le strategie di prevenzione: misure governative in Italia
L’epidemia da Covid-19 rappresenta una sfida per il nostro Paese e il mondo intero di cui non si conosce ancora bene la portata. Le uniche armi disponibili al momento per arginare la diffusione dei contagi sono: diagnosi precoce dei casi, isolamento dei pazienti e contact tracing per isolare i contatti in quarantena, in modo da rompere le catene di trasmissione. Misure che vanno assolutamente perseguite, anche se non si sa se basteranno: secondo uno studio pubblicato il 28 febbraio su The Lancet dai ricercatori del Centre for the Mathematical Modelling of Infectious Diseases della London School of Hygiene & Tropical Medicine, che hanno elaborato un modello di trasmissione matematico per quantificare la potenziale efficacia del tracciamento di contatti e dell’isolamento dei casi nel controllo di questo virus, sembra che potrebbero non essere sufficienti a scongiurare la pandemia.
Dopo l’inizio del contagio in Italia, il 22 febbraio il Consiglio dei Ministri ha approvato all’uopo un decreto-legge con drastiche misure urgenti nelle aree interessate dai focolai.
Era inoltre previsto su tutto il territorio nazionale la disinfezione e sanificazione degli ambienti aperti al pubblico e la disponibilità in tutti i locali pubblici, palestre, supermercati, farmacie e altri luoghi di aggregazione, di soluzioni idroalcoliche per il lavaggio delle mani per gli addetti, nonché per utenti e visitatori.
Un nuovo decreto, datato 4 marzo, alla luce del diffondersi dell’epidemia sul territorio nazionale, seguendo la linea della massima precauzione, estende a tutto il territorio nazionale le limitazioni inizialmente prescritte per le “zone rosse”:
- chiude scuole e università fino al 15 marzo (molte scuole e atenei hanno già attivato la didattica a distanza, mentre il governo è già al lavoro per mettere a punto una norma che prevede la possibilità per uno dei genitori di assentarsi dal lavoro per accudire i figli minorenni), esclusi i corsi post universitari connessi con l’esercizio di professioni sanitarie;
- sospende congressi e riunioni, manifestazioni ed eventi di qualsiasi natura e in qualsiasi luogo; ordina che partite e competizioni sportive, compresa la serie A, si svolgano a porte chiuse;
- fa divieto agli accompagnatori dei pazienti di permanere nelle sale di attesa e proibisce l’accesso di parenti e visitatori a strutture di ospitalità e lungo degenza, residenze sanitarie assistite e strutture residenziali per anziani, istituti penitenziari;
- richiede al personale sanitario di applicare le appropriate misure di prevenzione per la diffusione delle infezioni per via respiratoria previste dall’Oms e le indicazioni per la sanificazione e la disinfezione degli ambienti previste dal Ministero della salute.
Si raccomanda poi alle persone anziane, o affette da patologie croniche, o con multi-morbilità o stati di immunodepressione congenita o acquisita, di evitare di uscire dalla propria abitazione fuori dai casi di stretta necessità e di evitare comunque luoghi affollati nei quali non sia possibile mantenere la distanza di sicurezza interpersonale di almeno 1 metro dagli altri.
Chiunque, a partire dal quattordicesimo giorno antecedente la data di pubblicazione del decreto, abbia fatto ingresso in Italia dopo aver soggiornato in zone a rischio epidemiologico, o sia transitato o abbia sostato nei Comuni a rischio, dovrà comunicare tale circostanza al dipartimento di prevenzione dell’azienda sanitaria competente per territorio nonché al proprio medico di medicina generale o al pediatra di libera scelta; l’operatore di sanità pubblica e i servizi di sanità pubblica territorialmente competenti dovranno provvedere, sulla base delle comunicazioni, alla prescrizione della permanenza domiciliare sotto sorveglianza (divieto di contatti sociali, divieto di spostamenti e viaggi, obbligo di rimanere raggiungibile per le attività di sorveglianza, misurazione bi-quotidiana delle febbre e monitoraggio dei sintomi). In caso di comparsa di sintomi, la persona in sorveglianza deve: avvertire il medico o pediatra di famiglia e l’operatore Asl; allontanarsi dagli altri conviventi e rimanere nella propria stanza con la porta chiusa, in attesa del trasferimento in ospedale, ove necessario. Ulteriori misure sull’intero territorio nazionale prevedono: obbligo di esporre in tutte le scuole di ogni ordine e grado, nelle università, negli uffici delle pubbliche amministrazioni, negli esercizi commerciali, le informazioni sulle misure di prevenzione igienico-sanitarie rese note dal Ministero; in tutti i locali aperti al pubblico devono essere messe a disposizione degli addetti, utenti e visitatori, soluzioni disinfettanti per l’igiene delle mani; le aziende di trasporto pubblico devono adottare interventi straordinari di sanificazione dei mezzi; nello svolgimento delle procedure concorsuali pubbliche e private devono essere adottate le opportune misure organizzative volte a ridurre i contatti ravvicinati tra i candidati; vanno incoraggiare modalità di lavoro “agile” per la durata dello stato di emergenza.
La chiusura delle scuole fino al 15 marzo potrà essere prorogata ulteriormente in base a quello che sarà lo scenario epidemiologico che sarà verificato giorno per giorno. La chiusura delle scuole come modalità di contenimento dell’epidemia ha suscitato parei discordi; secondo il Centro Europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc) può funzionare in caso di epidemia di una normale influenza come deterrente al contagio dei bambini, che sono particolarmente esposti al virus influenzale (con un’incidenza superiore di 10 volte a quella degli adulti) e ne risultano pertanto grandi diffusori nel loro contesto familiare e nella comunità, ma non per questo nuovo virus che non impatta sui bambini e per il quale non è stato mai dimostrato alcun contagio scolastico. Peraltro, le evidenze scientifiche indicano il perseguimento di risultati, peraltro di modesta efficacia, solo con provvedimenti di durata almeno di due mesi. Ulteriori misure assunte dal governo prevedono l’assunzione di 20mila nuove unità tra medici e personale sanitario, processi a porte chiuse o rinviati a giugno, acquisto immediato di macchine e strutture necessarie per potenziare del 50% i posti in terapia intensiva sul territorio nazionale, la possibilità di requisire alberghi da trasformare in luoghi di assistenza domiciliare collettiva, l’accelerazione delle procedure per l’acquisto di materiale sanitario.
Un nuovo Decreto ministeriale delle ultime ore prevede una ulteriore inasprimento delle restrizioni per contrastare e contenere il diffondersi del Coronavirus: evitare in modo assoluto ogni spostamento in entrata e in uscita” nella Regione Lombardia e in 11 province di Veneto, Emilia Romagna, Piemonte e Marche: Modena, Parma, Piacenza, Reggio Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Venezia, Padova, Treviso, Asti e Alessandria, mentre sull’intero territorio nazionale sono sospese le attività di pub, scuole di ballo, sale giochi, sale scommesse e sale bingo, discoteche e locali assimilati fino al 3 aprile, prevedendo specifiche sanzioni in caso di mancato rispetto; bar e ristoranti possono rimanere aperti se riescono a garantire la distanza di un metro tra una persona e l’altra. Sono confermati gli eventi sportivi nazionali solo a porte chiuse. Infine, il governo raccomanda di limitare la mobilità al di fuori dei propri luoghi di dimora abituale ai casi strettamente necessari.
Le misure di protezione individuali
La protezione individuale nei confronti del virus prevede, secondo le raccomandazioni delle autorità sanitarie di tutto il mondo, alcune semplici regole: lavarsi frequentemente e correttamente le mani per almeno 20 secondi con acqua e sapone o un disinfettante per mani con almeno il 60% di alcol (il virus sopravvive sulle mani per circa dieci minuti); non toccarsi occhi, naso e bocca con le mani non lavate; evitare luoghi affollati e assembramenti di persone; evitare le strette di mano e gli abbracci (tranne che in ambito familiare); non scambiarsi bottiglie e bicchieri; evitare il contatto ravvicinato con chiunque mostri sintomi di malattia respiratoria acuta come febbre, mal di gola, tosse, starnuti, difficoltà a respirare; evitare di andare al lavoro o uscire se si è malati; coprirsi con un fazzoletto quando si tossisce o starnutisce (e gettare il fazzoletto subito dopo); pulire le superfici (il virus può persistere su oggetti, strumenti, mobili, cellulari, a temperatura ambiente, fino a 9 giorni): è bene sanificare 1-2 volte al giorno (dopo pulizia con un detergente neutro) con disinfettanti a base di ipoclorito di sodio allo 0,1-0,5% (candeggina) o etanolo al 62-71% o perossido di idrogeno allo 0,5%; lavare spesso gli abiti o esporli al sole (il virus può vivere annidato nei vestiti e sui tessuti per circa 6/12 ore).
La gestione sanitaria dei casi
Nelle strategie di prevenzione è cruciale la gestione sanitaria dei casi. Le indicazioni delle autorità sanitarie internazionali, e in Italia il Ministero della Salute e l’Istituto superiore di sanità, raccomandano agli utenti di non affollare i Pronto soccorso o gli ambulatori medici, i luoghi più pericolosi per la diffusione delle infezioni, ma in caso di sintomatologia sospetta avvisare telefonicamente il proprio medico o i servizi assistenziali di emergenza o i sanitari dei numeri verdi regionali, che effettueranno un triage telefonico fornendo consigli mirati al ridurre al minimo le occasioni di contatto tra pazienti. Ai medici è stata infatti fornita una scheda di triage telefonico per inquadrare il rischio del paziente di essere stato contagiato: provenienza da zone a rischio, esposizione a casi sospetti per sintomi (febbre >37,5°, mal di gola, rinorrea, difficoltà respiratorie) o per provenienza da aree a rischio, tipo di sintomatologia e suo decorso (esempio data di comparsa dei sintomi, andamento della febbre, difficoltà respiratoria, stato generale), compresenza di patologie, esecuzione del vaccino antinfluenzale. Se vi sono segni suggestivi di infezione da Coronavirus, il medico richiede attivazione del 118/112. Per i medici che dovessero visitare a domicilio pazienti potenzialmente infetti, è raccomandata la protezione di bocca, naso e occhi con mascherina, camice mono-uso e occhiali sanitari o visiera. Per i pazienti che si recano in ospedale, è stata predisposta la strutturazione di un triage pre-ospedaliero, con spazi idonei distinti e separati dai PS, attraverso allestimento di tende esterne ai dipartimenti di emergenza dedicate appositamente ai casi sospetti, allo scopo di separare i flussi dei pazienti. Il paziente sospetto, individuato al proprio domicilio attraverso il triage telefonico con il medico o dal triage ospedaliero, attraverso il 118/112 viene condotto al reparto di malattie infettive di riferimento attraverso ambulanza ad hoc da decontaminare subito dopo. Per tutto il trasferimento il paziente sarà gestito da personale sanitario dotato di adeguata protezione. I medici in ospedale, secondo le linee di indirizzo ministeriali, visiteranno gli ammalati a rischio dopo essersi lavati le mani con acqua e sapone o alcol, indossando un primo paio di guanti, poi il camice monouso sopra la divisa, quindi la maschera filtrante facciale, gli occhiali di protezione e infine un secondo paio di guanti. Dopo la visita, per prima cosa i sanitari devono rimuovere il camice monouso e il primo paio di guanti (che vanno nei rifiuti infettivi), gli occhiali per sanificarli, ancora nel contenitore infettivi la mascherina filtrante maneggiandola dalla parte posteriore, via l’ultimo paio di guanti e poi devono lavarsi le mani con soluzione alcolica o acqua e sapone. Il paziente accertato resta isolato e non sono consentite visite fino a guarigione clinica sancita da due tamponi negativi a distanza di 24 ore. I familiari degli ammalati in quanto “contatti stretti” sono sotto monitoraggio per due settimane, con gli operatori sanitari venuti in contatto e con chi ha viaggiato insieme all’ammalato.
La classe medica a rischio
Come per la SARS e la MERS, esiste un grande rischio potenziale per il personale sanitario. Ogni sanitario che diventa un contatto di un paziente infetto deve essere sottoposto alla quarantena di 14 giorni. E’ quanto accaduto agli operatori sanitari della terapia intensiva dell’ospedale di Codogno che erano di turno la sera del 20 febbraio, quando si è scoperto che il 38enne ricoverato con gravi problemi respiratori era positivo al Coronavirus: sono rimasti in servizio “prigionieri” del loro stesso reparto ad accudire i malati per 30 ore, fino a quando i loro colleghi – con le dotazioni adatte – hanno potuto dare loro il cambio, dopodichè non sono andati a casa ma in isolamento. Anche i medici curanti diventano “contatti stretti” quando l’Asl trasmette l’informazione che un assistito visitato negli ultimi 14 giorni è positivo al Coronavirus. Più di 250 medici si trovano in quarantena in Italia, e di questi 150 medici di base, con circa 200.000 pazienti virtualmente senza medico.
I Dispositivi di Protezione Individuale (DPI)
I DPI sono attrezzature utilizzate allo scopo di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori. I DPI per le vie respiratorie sono studiati per evitare o limitare l’ingresso nelle vie aeree di agenti potenzialmente pericolosi (fumi, polveri, fibre o microrganismi); comprendono maschere, occhiali, guanti e tute. Le maschere di uso medico, a differenza di quelle chirurgiche (o “igieniche”), che servono solo a proteggere i pazienti dai germi eventualmente propagati dall’operatore, sono le semi-maschere Facciali Filtranti la Polvere (FFP): dispositivi monouso che proteggono bocca, naso e mento grazie a un bordo di tenuta sul volto e sono muniti di uno specifico sistema filtrante per aerosol solidi e liquidi che trattiene le particelle aero-disperse, impedendone l’inalazione. Sono classificate in quattro tipologie, FFP1, FFP2 e FFP3, FFP4, in base al livello crescente di protezione. In presenza di contaminazioni elevate o di agenti biologici estremamente pericolosi come quelli di gruppo 4 (per es. virus delle febbri emorragiche), potrebbe essere necessario isolare completamente l’operatore dall’ambiente esterno impiegando autorespiratori che forniscono aria pura: non è il caso del Covid-19, per il quale è raccomandato l’utilizzo di maschere con protezione almeno 2 o 3. La loro durata è limitata, massimo 4 ore secondo l’Oms, dopodichè si riduce la capacità filtrante. L’Oms stima che per l’emergenza Covid-19 ogni mese saranno necessari almeno 89 milioni di maschere mediche, 76 milioni di guanti da visita e 1,6 milioni di occhiali: per fronteggiare queste richieste a livello globale le forniture di DPI dovranno essere aumentate del 40%. Poiché il Covid-19 ha dimensioni piuttosto grandi (diametro circa 400-500 nanometri), se la carica virale non è eccessiva, l’Oms nelle nuove linee guida del 27 febbraio permette la sostituzione delle semi-maschere filtranti antipolvere, in loro mancanza, con quelle chirurgiche (non filtranti) per gli assistenti di studio, i tecnici di laboratorio, gli inservienti e i visitatori degli ospedali, ma non per i medici, esposti a cariche virali molto alte quando visitano. Il decreto Gualtieri consente invece di far ricorso alle mascherine chirurgiche, quale dispositivo idoneo a proteggere gli operatori sanitari, e consente di usare anche mascherine prive del marchio CE previa valutazione dell’Istituto superiore di sanità. Affinché comunque la mascherina sia efficace e sicura, l’Oms raccomanda specifiche regole per indossarla, rimuoverla e smaltirla in modo corretto, per evitare che, invece di proteggere dal contagio, possa diventare una fonte di infezione a causa dei germi che potrebbero depositarsi sopra: prima di indossarla, pulire le mani con un disinfettante a base di alcol o con acqua e sapone; nel coprire la bocca e il naso, assicurarsi che non vi siano spazi tra il viso e la mascherina; evitare di toccare la mascherina mentre la si utilizza e, se necessario farlo, pulire prima bene le mani; sostituire la mascherina con una nuova non appena è umida e non riutilizzare quelle monouso; per toglierla, rimuoverla da dietro (senza toccare la parte anteriore) e buttarla immediatamente in un contenitore chiuso; pulire nuovamente le mani con un detergente a base di alcool o acqua e sapone.
La pandemia
È opinione diffusa degli scienziati che l’epidemia si stia globalizzando. Il Covid-19 finora ha provocato, secondi gli ultimi dati Oms aggiornati all’8 marzo, 105.523 casi confermati nel mondo con 3.584 morti, di cui in Cina 80.859 casi confermati e 3.100 morti, e 24.664 casi confermati in 100 altri Paesi con 484 morti.
Il governo cinese ha messo in atto misure di controllo della diffusione del virus senza precedenti, creando la più estesa quarantena della storia, a carico di oltre 50 milioni di abitanti (come “chiudere” l’Italia o la Francia): il trasporto pubblico è stato fermato, chiusi asili, scuole, università, mercati, locali, cinema e teatri, templi, annullati i festeggiamenti per il Capodanno Cinese, interrotti i viaggi turistici; i posti letto negli ospedali pubblici e privati sono stati ampliati e hanno costruito, in poco più di 20 giorni, due nuovi ospedali a Whuan, il primo di 1.000 posti e il secondo di 1.600 posti, attrezzati per la terapia intensiva degli ammalati di Covid-19. Il “Comitato di emergenza speciale per il nuovo coronavirus” che l’Oms ha convocato a Ginevra il 30 gennaio ai sensi del Regolamento sanitario internazionale, ha dichiarato l’epidemia di Coronavirus in Cina “Emergenza di sanità pubblica di interesse internazionale” (PHEIC), che configura una situazione “grave, improvvisa, insolita o inattesa” ed è definita come “un evento straordinario che si manifesta quando costituisce un rischio per la salute pubblica anche per altri Stati attraverso la diffusione internazionale delle malattie e quando richiede una risposta internazionale coordinata”. Dal 2009 ci sono state cinque dichiarazioni PHEIC: per la pandemia di H1N1 (o influenza suina) del 2009, per la polio del 2014, per l’epidemia del 2014 di Ebola nell’Africa occidentale, per l’epidemia di virus Zika 2015-2016 e, a partire dal 17 luglio 2019, per l’epidemia di Kivu Ebola iniziata nel 2018, mentre la SARS, il vaiolo, la poliomielite di tipo selvaggio e qualsiasi nuovo sottotipo di influenza umana sono automaticamente PHEIC. Inoltre, il 28 febbraio 2020, l’Oms ha elevato la minaccia di epidemia a livello mondiale da “alto” a “molto alto”, benchè non si possa parlare ancora di pandemia in quanto, anche se al momento ci sono epidemie in numerosi Paesi al di fuori della Cina, la maggior parte dei casi può ancora essere ricondotta a contatti noti o gruppi di casi circoscritti a specifici focolai: non si evidenziano ancora riscontri che il virus si stia diffondendo liberamente nelle comunità ad elevata velocità né con una grave mortalità su vasta scala, e questo consente di sperare sulla possibilità di contenere ancora la diffusione, mentre si parlerebbe di pandemia se ogni persona nel mondo fosse potenzialmente esposta al contagio indipendentemente dall’esposizione a uno specifico rischio. A quel punto le misure di contenimento internazionale finora adottate non avrebbero più ragione di essere e, trattandosi di un virus nuovo per l’uomo, verso il quale nessuno ha anticorpi, come nel caso della “spagnola” del 1918, si potrebbe prospettare un contagio a carico del 35-40% della popolazione mondiale. Ma per l’Oms, l’epidemia si può ancora contenere, a patto che i Paesi mettano in campo misure rapide e incisive che interrompano la trasmissione, isolando i focolai. Tre le maggiori preoccupazioni dell’Oms: la protezione degli operatori sanitari; la protezione delle persone che sono maggiormente a rischio, in particolare gli anziani e le persone con condizioni di salute compromesse; la tutela dei Paesi più vulnerabili, con sistemi sanitari più deboli che non sono preparati ad affrontare l’epidemia. Per l’immediato futuro quello che conta è che gli ospedali si preparino ad accogliere più pazienti, facendo anche scorta di materiali protettivi, e che si proceda a effettuare vaccinazioni di massa per influenza e infezioni da pneumococco, in modo da rendere più facile l’identificazione del Covid-19, e per morbillo, che deprime il sistema immunitario. Al momento è impossibile comprendere come evolverà la situazione del nuovo Coronavirus. Secondo gli esperti, possono verificarsi due opposti scenari. Quello più ottimistico è che l’epidemia non diffonda in nessun altro Paese come ha fatto in Cina (dove sono concentrati ancora il 95% dei casi mondiali) e come una normale influenza rallenti la sua diffusione finito il periodo invernale, anche se al momento non c’è alcuna certezza che il Covid-19 abbia un picco stagionale per poi recedere, come le influenze ordinarie. Il secondo scenario è quello della pandemia, che molti ricercatori ritengono ormai inevitabile. Questo non accadrà solo se le misure messe in atto per contenere la diffusione delle infezioni funzioneranno. Il futuro del mondo, a questo punto, diventa responsabilità individuale di ognuno di noi, col suo comportamento consapevole.
Info
Per informazioni generali si può chiamare il numero 1500, numero di pubblica utilità attivato dal Ministero della Salute, 24 ore su 24, per rispondere alle domande dei cittadini sul nuovo Coronavirus.
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L’articolo Epidemia da Covid-19: cosa sta succedendo proviene da Lo Speakers Corner.
Fonte: SpeakerCorner