Palazzo D’Avalos e Real Caccia di Procida e Vivara
Una piccola isola del Golfo di Napoli piena di fascino e leggende: la suggestione di Procida ha fatto sì che spesso fosse protagonista di pellicole cinematografiche e romanzi
di Lucio Sandon
Il complesso monumentale di Procida è attualmente costituito dal Palazzo D’Avalos con il cortile, dalla Caserma e dal Padiglione delle Guardie, dall’Edificio dei Veterani, oltre alla Medicheria e alla Casa del Direttore, e infine dal tenimento agricolo detto la Spianata.
L’illustre famiglia d’Avalos proveniente dalla Castiglia, si trasferì a Napoli al seguito di re Alfonso I d’Aragona con Inigo d’Avalos e i suoi tre figli: Alfonso, Rodrigo e Inigo Junior, tutti sepolti nella cappella gentilizia della chiesa di Sant’Anna dei Lombardi. Agli inizi del XVI secolo Alfonso d’Avalos, al quale Federico d’Aragona aveva donato i parchi e i padiglioni di caccia di Ischia e Procida, introdusse sull’isola una nuova razza di fagiani portata dalla Calabria, e vi impiantò inoltre l’allevamento di pernici e starne. Sin da quell’epoca Procida e Vivara si erano affermate come importanti luoghi di caccia: nel periodo della migrazione, già re Alfonso V era solito andarvi a caccia di quaglie, tortore e colombi che giungevano a stormi, tanto che l’espansione della Reale Caccia procidana richiese l’aumento del numero delle squadriglie dei guardacaccia, onde controllare il rispetto dei bandi severissimi che vietavano agli isolani di impadronirsi di qualunque animale selvatico.
Il palazzo signorile di Procida venne realizzato sul finire del cinquecento per volere del Cardinale Innico d’Avalos dagli architetti Cavagna e Tortelli, i quali provvidero a realizzare anche l’attuale accesso a Terra Murata il punto più alto dell’isola, che fino a quel momento era accessibile solo dalla spiaggia dell’Asino: grazie a tale collegamento lo sviluppo urbano dell’isola cambiò, con la nascita del borgo della Corricella, con la realizzazione del Convento di Santa Margherita Nuova e dell’abbazia di San Michele.
Appena pochi mesi dopo il suo insediamento sul trono di Napoli, Carlo di Borbone, con l’intento precipuo di colpire duramente gli interessi dei d’Avalos, rei di aver militato nello schieramento filoaustriaco, avviò le pratiche per l’espropriazione di Procida, che dal 1529 era insieme con Ischia feudo di quella potente famiglia. L’interesse mostrato da Carlo per Procida non fu tuttavia dettato da motivi di natura unicamente politica: la passione venatoria del sovrano e l’amenità dei luoghi ebbero un peso rilevante nella vicenda.
Ferdinando IV anch’egli cacciatore esperto, soggiornò lungamente nel palazzo, trasformato in lussuosa residenza borbonica. Nel 1792, Procida ottenne il titolo di Città ed Isola Reale: certo la ricchezza e il considerevole traffico marittimo fecero meritare all’isola quella fastosa qualifica, ma non c’è dubbio che la nobile caccia dei fagiani vi ebbe un peso rilevante. Il complesso monumentale, dopo essere stato Palazzo Reale dei Borbone, nel 1815 venne trasformato prima in scuola militare e poi nel 1830 in carcere del Regno, con i successivi ampliamenti che vennero realizzati dal 1840 per la nuova funzione di bagno penale.
Nel carcere di Procida sono stati detenuti Cesare Rosaroll e Luigi Settembrini, e dopo la caduta della repubblica di Salò vi furono rinchiusi tutti i principali capi della nomenclatura fascista, da Graziani, a Teruzzi, a Cassinelli, e Julio Valerio Borghese.
Nel 1978 venne chiuso il carcere vecchio, e nel 1988 definitivamente abbandonato anche il carcere nuovo.
Una curiosità attinente alla famiglia D’Avalos: un recente studio della storica tedesca Maike Vogt-Lüerssen, sostiene di aver scoperto un legame sentimentale tra Leonardo da Vinci e Isabella d’Aragona, nata a Napoli nel 1470, figlia dell’erede al trono di Napoli Alfonso II e di Maria Ippolita Sforza.
Sarebbe proprio lei la Gioconda, l’enigmatica donna ritratta nel celeberrimo quadro.
Isabella, rimasta vedova di Gian Galeazzo Sforza, sarebbe stata addirittura sposa segreta di Leonardo, il che spiegherebbe perché l’artista abbia gelosamente tenuto con sé il dipinto per tutta la sua vita. Dall’unione tra Leonardo e Isabella sarebbero nati cinque figli, due dei quali riposerebbero accanto alle spoglie della madre nella sagrestia del Convento di San Domenico Maggiore a Napoli, dove, secondo le indagini di Maike Vogt-Lüerssen, si troverebbero anche alcuni resti dello stesso Leonardo, in realtà mai sepolto ad Amboise. Eccezionale è la somiglianza tra la Monna Lisa e il ritratto di Isabella d’Aragona di Raffaello.
Lo scrittore Lucio Sandon è nato a Padova nel 1956. Trasferitosi a Napoli da bambino, si è laureato in Medicina Veterinaria alla Federico II, aprendo poi una sua clinica per piccoli animali alle falde del Vesuvio.
Notevole è il suo penultimo romanzo, “La Macchina Anatomica”, Graus Editore, un thriller ambientato a Portici, vincitore di “Viaggio Libero” 2019. Ha già pubblicato il romanzo “Il Trentottesimo Elefante”; due raccolte di racconti con protagonisti cani e gatti: “Animal Garden” e “Vesuvio Felix”, e una raccolta di racconti comici: “Il Libro del Bestiario veterinario”. Il racconto “Cuore di figlio”, tratto dal suo ultimo romanzo “Cuore di ragno”, ha ottenuto il riconoscimento della Giuria intitolato a “Marcello Ilardi” al Premio Nazionale di Narrativa Velletri Libris 2019. Il romanzo “Cuore di ragno” è risultato vincitore ex-aequo al Premio Nazionale Letterario Città di Grosseto “Cuori sui generis” 2019.
Sempre nel 2019, il racconto “Nome e Cognome: Ponzio Pilato” ha meritatola Segnalazione Speciale della Giuria nella sezione Racconti storici al Premio Letterario Nazionale Città di Ascoli Piceno, mentre il racconto “Cuore di ragno” ha ricevuto la Menzione di Merito nella sezione Racconto breve al Premio Letterario Internazionale Voci – Città di Roma. Inoltre, il racconto “Interrogazione di Storia” è risultato vincitore per la Sezione Narrativa/Autori al Premio Letizia Isaia 2109.
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