Caserta. Assoluzione in Appello potrebbe portare alla scoperta di ‘professionisti dell’antimafia’
Ci sono voluti 12 anni per rendere giustizia a Giovanni Di Lorenzo, che aveva tentato di essere assunto presso la Cleprin di Sessa Aurunca venendo però scambiato per un camorrista.
Ma, per ironia della sorte, il suo presunto complice, avendo optato per il patteggiamento, è stato condannato per un fatto che -hanno decretato i giudici di appello- “non costituisce reato”.
Naturalmente, come si potrà agevolmente dedurre, questa decisione avrà un effetto domino. Ci sono già stati risultati in tal senso.
É in atto una revisione del processo che ha visto condannato Arturo Di Marco, funzionario del comune di Sessa Aurunca, (parzialmente riabilitato e al quale pare siano stati già restituiti addirittura i beni confiscati).
Per capirci qualcosa dobbiamo fare però un passo indietro e ritornare con la mente a quel lontano gennaio del 2007 e leggere le accuse della Procura.
A Giovanni Di Lorenzo e Arturo Di Marco fu contestato all’epoca il reato di estorsione aggravata col metodo mafioso, poiché in “concorso ed unione tra loro, con violenza e minaccia consistita nell’avvalersi della forza di intimidazione propria dell’associazione camorristica denominata ‘clan Esposito’ o dei ‘Muzzoni’ compivano atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere Franco Beneduce e Antonio Picascia – soci della ditta Cleprin che si occupa della produzione di commercializzazione all’ingrosso di detersivi – ad assumere presso la ditta da essi gestita Giovanni Di Lorenzo dietro pagamento di uno stipendio mensile di almeno 1000 (mille) euro per procurarsi un ingiusto profitto con ’altrui danno patrimoniale non riuscendo nell’evento per cause indipendenti dalla sua volontà.
Di Marco e Di Lorenzo vengono arrestati, (anche se non c’era stata –come dagli stessi atti giudiziari – la prospettazione o minaccia di un ingiusto danno) i loro beni sequestrati prima e confiscati poi, (per la verità solo quelli del Di Marco, il Di Lorenzo non aveva nulla), la loro vita rovinata.
Nel 2011 (dopo 4 anni dal fatto) viene celebrato il processo presso il tribunale di Santa Maria Capua Vetere e Giovanni Di Lorenzo viene assolto “perché il fatto non costituisce reato”, con un giudizio a dir poco sconcertante.
Il Di Marco, all’epoca aveva patteggiato (a dire dei suoi legali solo per uscire dalla costrizione carceraria ma questo non importa), una pena ad un anno e sei mesi con tutto il relativo corredo di licenziamento, confisca dei beni, sorveglianza speciale, eccetera.
Di Lorenzo, invece aveva preferito farsi processare con rito ordinario e … venne assolto!
Il Tribunale, per intenderci ha sentenziato che il fatto, non solo non è aggravato dalla matrice mafiosa, non solo non è aggravato da un qualsiasi vincolo associativo, ma, non costituisce neanche reato!
La sentenza, impugnata dalla Procura, è stata nello scorso mese di marzo pienamente confermata in secondo grado dalla Corte d’Appello di Napoli (Presidente, Eugenio Giacobini; consigliere relatore, Cinzia Apicella; consigliera, Federica De Maio; Pubblico Ministero, Procuratore Generale, Giuseppe Tittaferrante) ed è divenuta, nel frattempo definitiva. Di Lorenzo era difeso dall’avvocato Luigi Mordacchini.
Nel frattempo l’A.G. e la Questura hanno proceduto anche alla riabilitazione del Di Marco, e a restituirgli tutti i beni confiscati.
Ovviamente il Di Marco ha dato il via alla procedura per una revisione del suo processo, in conseguenza della apparentemente inconciliabile contraddizione con quello del suo correo Di Lorenzo, preannunciando, in caso positivo, una richiesta di risarcimento. Di Marco è stato difeso dall’Avv. Luigi Iannettone.
Ma la cosa non finisce qui. Anzi ha una previsione deflagrante.
É al vaglio degli inquirenti, infatti. un esposto circostanziato, (inviato peraltro anche alla Presidenza della Repubblica, al C.S.M., ai Ministri dell’Interno e della Giustizia, ai Procuratori di S. Maria C.V. ed Isernia, a don Luigi Ciotti di Libera, al T.A.R. Campania, ai Sindaci di Sessa Aurunca e Carinola, al Commissariato di P.S. di Sessa Aurunca, al Comando Carabinieri, alle redazioni dei giornali ed alla redazione de “Le Iene”) con il quale si evidenziano chiaramente condotte “illecite” di molti di quelli che Leonardo Sciascia usava definire “professionisti dell’antimafia”.
Vi sarebbero agli atti delle indagini intercettazioni telefoniche di vari colloqui tra gli imprenditori e i giornalisti: Sandro Ruotolo (Rai e Can. 5); Sergio Nazzaro (Fan Page); Raffaele Sardo (La Repubblica); Adriana Pollice (Il Manifesto); Antonio Pisani (Ansa –Caserta); Luca Marconi (Corriere del Mezzogiorno); alcuni (in corso di identificazione) cronisti di SKY e di altre testate e siti web, che saranno valutate nella loro portata in sede di giudizi.
Ma la chicca potrebbe essere rappresentata dall’iscrizione nei registri degli indagati di Antonio Picascia, Francesco Beneduce, Maurizio Beneduce e Antonio Marraffino: tutti indagati per i reati di truffa aggravata, falso in denuncia, simulazione di reato e altro; successivamente è seguita un’iscrizione anche per concorso in abuso di atti di ufficio.
A loro si è poi aggiunta – nel marzo 2018 – la dottoressa Vincenza Grella, Capo Settore SUAP Comune di Sessa Aurunca, indagata per falso materiale e favoreggiamento.
Il processo per il trasferimento del piemme è fermo. Subirà uno scossone con l’arrivo dell’esposto?
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