Il Racconto, Gira che ti rigira
di Giovanni Renella
Quel sabato sera, come al solito, aveva tirato fino a tardi ed era andata a dormire che il Sole era già alto.
Si era lasciata trasportare dalle note della serenata di Debussy prima e da quelle del “Notturno” di Chopin poi, che l’avevano cullata facendole perdere la cognizione del tempo; e quando all’alba si era finalmente addormentata, aveva sognato di specchiarsi in un corso d’acqua limpida che ne rifletteva l’immagine.
Non tanto il rumore dei motori, che le giungeva ovattato in quel silenzio surreale, quanto piuttosto quel calpestio improvviso e inaspettato la fece sobbalzare, destandola dal sonno profondo cui si era abbandonata poche ore prima; del resto le stelle erano già alte ed era ora di riprendere il servizio.
Quella domenica sera non aspettava visite e le improvvisate non le erano mai piaciute.
Fu quasi naturale per lei arrossire alla vista dei due estranei che le erano letteralmente piombati addosso nel momento in cui si era appena levata e per un attimo pensò addirittura di eclissarsi visto che era ancora in deshabillé.
Guardò con curiosità quegli sconosciuti che le saltellavano intorno, felici come bambini cui hanno appena regalato un palloncino colorato che vola legato a una cordicella.
Ma quelli erano anni in cui ci si accontentava di poco, e quel poco sembrava già tanto, per cui l’entusiasmo di quei due, in quell’occasione, le apparve più che comprensibile.
Nonostante l’assenza della giusta atmosfera, provò comunque a ricambiare, con una sentita partecipazione emotiva, il fervore di chi si era spinto fin lassù e fece gli onori di casa cercando di essere il più accogliente possibile.
La sua gentilezza dovette però essere fraintesa, poiché di lì a poco si ritrovò con uno spillone, sormontato da una bandiera a stelle e strisce, piantato a tradimento nel dorso: i suoi ospiti si stavano rivelando dei veri e propri cafoni!
Rimpianse la carezza delle melodie che salivano su, da quel golfo incastonato fra il mare e il Vesuvio, per celebrare a imperitura memoria la sua bellezza e immaginò quanto sarebbe stato più romantico se fosse stata raggiunta da due che provenivano da quelle parti.
Di fronte ad una così spudorata invadenza non le restò altro da fare, dato che era una signora, di girarsi dall’altra parte e aspettare che quegli intrusi, così com’erano venuti, se ne andassero alla svelta.
Gira che ti rigira sono passati cinquant’anni da quel venti luglio e lei ormai neanche si ricorda più dell’intrusione di quei tizi che la raggiunsero da così lontano giusto per celebrare l’ennesimo primato dell’uomo nel cosmo: un traguardo tutto sommato effimero, visto che nei decenni a venire quell’obiettivo perse ogni interesse.
Per fortuna alla cara e vecchia Luna restano le canzoni e le melodie di chi ne ha celebrato il fascino nei secoli, limitandosi ad ammirarla ogni sera da lontano.
Senza avere alcun bisogno di doverla toccare per essere sedotti dalla sua magia che tanto ammalia gli amanti.
Nato a Napoli nel ‘63, agli inizi degli anni ’90 Giovanni Renella ha lavorato come giornalista per i servizi radiofonici esteri della RAI. Ha pubblicato una prima raccolta di short stories, intitolata “Don Terzino e altri racconti” (Graus ed. 2017), con cui ha vinto il premio internazionale di letteratura “Enrico Bonino” (2017), ha ricevuto una menzione speciale al premio “Scriviamo insieme” (2017) ed è stato fra i finalisti del premio “Giovane Holden” (2017). Nel 2017 con il racconto “Bellezza d’antan” ha vinto il premio “A… Bi… Ci… Zeta” e nel 2018 è stato fra i finalisti della prima edizione del Premio Letterario Cavea con il racconto “Sovrapposizioni”. Altri suoi racconti sono stati inseriti nelle antologie “Sette son le note” (Alcheringa ed. 2018) e “Ti racconto una favola” (Kimerik ed. 2018). Nel 2019 ha pubblicato la raccolta di racconti “Punti di vista”, Giovane Holden Edizioni.
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