“Incontri di… vite” con Giovanni Tariello
Giovanni Tariello è un vero e proprio artista, perché è un vero e proprio creatore, è un vulcano sempre attivo. Ed è un vulcano attivo oramai da quasi cinquant’anni, allorché giovanissimo incomincia a proporre le sue espressioni artistiche, ma cerca anche di mettere su degli appositi studi di più artisti, al fine di rafforzare la proposta e dare luogo anche e soprattutto ad una vera e propria visione culturale.
Insomma, di Tariello si può ben dire che è un artista che viene da lontano, perché poi non ha mai tralasciato le sue radici morronesi. Certo avrebbe potuto muovere ben altri passi, avrebbe potuto raggiungere una notorietà anche internazionale, raggiungere e quella visibilità che tutti oggigiorno bramano, ma non ha mai voluto lasciare il suo paese, in un attaccamento morboso e virile allo stesso tempo con tutto un mondo fatto di narrazioni di e sulla ruralità, di epicità, di esclusività e di inclusività. E di verità.
E lui sa ben cogliere tutto questo mondo che è un mondo strano rispetto all’omologazione, che procede a ritmi veloci nell’appiattimento continuo e nella cancellazione continua della diversità culturale. Giovanni Tariello è il vero cantore di un mondo che, nonostante tutto, riesce ancora a parlare, a scrivere, a disegnare, a narrare, ad essere ‘altro’ rispetto a ciò che è uguale, massificato e massificante.
Tariello è l’Omero fattosi pittore e cantore della ‘storia dei senza storia’, di quella storia silenziosa fatta da uomini silenziosi, di quei fatti piccoli e quotidiani e, forse, per ciò stesso insignificanti, ma che lui carica di significanti, perché parla con essi e di essi parla, parla di essi tra essi e con gli altri, con tutti gli altri che sono irraggiungibili, presi dal mito moderno marinettiano della velocità e da questa fagocitati, ma la ‘storia dei senza storia’ procede in silenzio e piano, con una andatura che è quella propria, che è dei propri piedi. Festina lente ci consigliavano i Romani e così pare che Tariello ci consigli con quel suo mondo della prisca e fresca ruralità morronese.
Così ieri sera, in una sera dove si assaporava il caldo dell’estate in una piazza, la principale piazza di Castel Morrone, dove da un lato c’è il potere temporale del comune e di fronte quello spirituale della chiesa, nello specifico dell’Annunziata, lui presentava i suoi ultimi lavori. Questa volta è stata la ceramica la sua espressione. Una quindicina di piatti mirabilmente forgiati dal novello Vulcano morronese. Ogni piatto presenta e ripete, in una sorta di mitico eterno ritorno, la vita del contadino morronese, vita fatta di tralci d’uva e di solchi millenari che accarezzano e baciano la terra, del bue che sornione attende di rendersi utile per i lavori agricoli alla zappa che pure essa aspetta. Un piccolo ma significativo mondo a cui Giovanni Tariello dà senso e vita in “Incontri di…vite”.
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