La ‘Primavera di Praga’ nei ricordi di un autorevole medico allora giovinetto, rilanciati da Lorena Fantauzzi
Quell’estate del ‘68 quando invasero Praga: mezzo secolo dopo il ricordo di un adolescente divenuto luminare della medicina.
Riceviamo e volentieri riportiamo La ‘Primavera di Praga’ nei ricordi di un autorevole medico allora giovinetto, rilanciati dalla valente collega Lorena Fantauzzi.
Con immenso piacere pubblichiamo un articolo di Repubblica a firma di Concita de Gregorio raccontando i fatti di Praga del 1968 attraverso la testimonianza del professor Claudio Puoti (nella foto in alto)
Avevo 14 anni quella notte, 50 anni fa
Grazie a Claudio Puoti, Roma – “Quel 21 agosto avevo 14 anni, non più bambino non ancora ragazzo. All’alba suonò il telefono, riunione urgente in sezione. ‘I sovietici sono entrati a Praga’. Non capivo cosa c’entrassi, mica c’ero andato io a Praga. Ma quando il Partito chiamava si rispondeva senza discutere“.
“Nel mondo c’era un vento sempre più forte. Il nuovo cercava di cacciare il vecchio che resisteva tenacemente. Il Maggio francese, Berlino in rivolta, in Cina le Guardie Rosse, a Roma gli scontri di Valle Giulia, Bob Kennedy e Martin Luther King assassinati, cortei contro la guerra del Vietnam, assemblee, università e scuole occupate, per le strade si gridava Giap Giap Ho Chi Minh. Da poco avevo letto L’essenza del Cristianesimo di Feuerbach senza capirne una parola, e mi proclamai ateo. Mi piaceva questa parola, la ripetevo senza capirne il senso. Essere ateo fu la mia rottura verso l’ordine costituito“.
“Sentivo che stava passando la Storia e non volevo esserne spettatore, ma piccola comparsa sul palcoscenico degli eventi. Si viveva per strada, si discuteva, si parlava, ci si sentiva vivi, felici.
Molti giovani uscirono dal Partito per aderire ai gruppi extraparlamentari, io vi entrai. Il Partito mi sembrava una possente forza tranquilla, un padre che insegnava la disciplina, l’etica del lavoro, il rispetto delle istituzioni. Guardavo stupito un mondo a me ignoto, il mondo degli operai, delle borgate, dei vecchi che avevano fatto la Resistenza“.
“E in tutto questo, in Cecoslovacchia stava succedendo qualcosa, anche se nessuno aveva ben chiaro dove volesse andare la Storia. Avevo solo capito che a Mosca non erano così contenti dei fatti di Praga, giravano nomi mai sentiti prima: Dubcek, Svoboda, Piazza San Venceslao. La sezione era piena di militanti. Alcuni gridavano che era ora di staccarsi dall’ URSS e dai suoi carri armati. Altri sostenevano che il Partito doveva esprimere severo dissenso per l’invasione, senza rinunciare al patrimonio della Rivoluzione d’Ottobre“.
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“Due vecchi militanti stavano seduti in un angolo e tacevano compiaciuti. Li chiamavamo Stalin, per i baffoni ostentati con orgoglio, e Zukov, per la somiglianza con l’arcigno liberatore di Berlino nel ‘45. Erano sovietisti nella testa, nel cuore, l’Armata Rossa era il loro mito. Dodici anni prima il Partito non aveva forse approvato l’invasione dell’Ungheria? La linea del Partito non poteva essere che la stessa di allora“.
“E invece no. La linea del Partito non fu quella del ‘56. La vecchia guardia ultra sovietica fu emarginata progressivamente. Emerse una nuova generazione di dirigenti. Uno di loro, un sardo pacato, quasi timido diventò dopo pochi anni Segretario del Partito, portandolo sempre più lontano dall’URSS e mettendone in dubbio la forza propulsiva, sino ad arrivare allo strappo da Mosca. Non poté terminare l’opera, se ne andò a soli 62 anni sedici anni dopo“.
“Cinque anni dopo la sua morte cadde un muro, anzi, ‘il Muro’. Di nuovo la Storia si mise in movimento, lacerando tutte le certezze, e ancora una volta il nuovo avanzava in maniera impetuosa, cercando di scalzare il vecchio. E qui finisce la mia storia personale, un po’ autobiografia e un po’ fiaba“.
(Lorena Fantauzzi Press – Fonte & Aggiornamenti: Repubblica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)