Tassa sui rifiuti gonfiata per errore, per anni pagata il doppio: a Caiazzo interviene il Meetup 5 Stelle
“Sarebbe interessante controllare le nostre bollette che come sappiamo sono salatissime”: noi, come Meetup Caiazzo le controlleremo al più presto“,
Inequivocabile la premessa con cui, nel preannunciare un proprio intervento territoriale, i “grillini” denunciano che:
Negli ultimi cinque anni almeno, diversi Comuni avrebbero sbagliato il calcolo della Tari: un errore nel computo della quota variabile del tributo che ha fatto lievitare a dismisura il prelievo, a spese di milioni di famiglie.
Anche fino al doppio del dovuto.
A svelare la grave irregolarità è stato il sottosegretario all’Economia Pier Carlo Baretta, nel corso di un question time a Montecitorio.
Il Movimento Difesa del Cittadino grida alla truffa ai danni dei contribuenti: l’associazione dei consumatori ha lanciato la campagna ‘SOS Tari’ per chiedere i rimborsi ai Comuni che avrebbero applicato la tassa rifiuti ingiustamente maggiorata.
L’errore
I contribuenti-vittime si sono così trovati una bolletta in cui, oltre alla quota fissa (legata ai metri quadri della casa), c’è una quota variabile (legata al numero degli abitanti della casa) moltiplicata tante volte quante sono le pertinenze.
Ad esempio: chi ha una casa con 125 metri quadrati complessivi, di cui 100 di casa, 15 di garage e 10 di cantina ha pagato la quota variabile non una (come dovrebbe essere) ma tre volte.
Il risultato? Bolletta quasi raddoppiata.
L’ammissione del Mef
A far scoppiare la bufera un’interrogazione parlamentare rivolta dal deputato pugliese Giuseppe L’Abbate (M5S), al sottosegretario all’Economia Pier Carlo Baretta per chiedere lumi su una serie di segnalazioni giunte da varie città della penisola.
La richiesta cita come fonte un articolo del Sole24ore del 2014 che già tre anni fa denunciava un’inesattezza nel calcolo della Tari.
L’errore sarebbe stato commesso, tra i tanti, dai Comuni di Milano, Genova, Ancona, Napoli, Catanzaro e Cagliari.
La tassa rifiuti
Ma procediamo per ordine. La Tari, introdotta nel 2014 (dalla L.147/13) serve a finanziare il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti.
È tenuto a versarla chiunque possieda o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte che possono produrre immondizia (dunque in caso d’immobili, anche l’inquilino, non solo il proprietario).
Insieme all’Imu e alla Tasi costituisce la Iuc, l’Imposta unica comunale.
La Tari ha preso il posto della Tares, in vigore nel solo 2013, che a sua volta sostituiva i vecchi prelievi relativi alla gestione dei rifiuti urbani (Tarsu, Tia1 e Tia2).
Le scadenze di pagamento della Tari sono fissate da ciascun Comune: di norma è scaglionata in almeno due rate, ogni sei mesi.
Come si applica?
La tassa comprende una quota fissa e una variabile.
La parte fissa dipende da quanto è grande la casa: è in proporzione ai metri quadrati dell’abitazione.
Mentre quella variabile, che di fatto serve ad adeguare il prelievo ai rifiuti prodotti, cresce secondo il numero dei membri della famiglia.
Ed ecco l’errore: la quota variabile andrebbe calcolata una sola volta sull’insieme di casa e pertinenze immobiliari (ovvero posti auto, cantine, soffitte, box), tenuto conto del numero dei familiari.
L’esistenza di svariate pertinenze, infatti, non accresce la quantità d’immondizia prodotta dal nucleo familiare, mentre i Comuni accusati di averla maggiorata l’avrebbero applicata tante volte quante sono le pertinenze dell’abitazione, come se l’immondizia lievitasse in presenza di più pertinenze.
Riportando l’esempio discusso alla Camera: per un appartamento in cui vive una famiglia di 4 persone, con superficie complessiva di 150 metri quadrati, di cui 100 di casa, 30 di garage e 20 di cantina, la parte variabile della tariffa relativa ad autorimessa e cantina (come precisato dal punto 4.2 dell’allegato 1 al DPR n. 158/99) “va computata solo una volta, considerando l’intera superficie dell’utenza composta sia dalla parte abitativa che dalle pertinenze site nello stesso comune“.
Pertanto l’importo da versare si otterrà sommando: tutte le quote fisse rispettivamente di casa, garage e cantina, a cui si aggiungerà una, e solo una volta, l’importo della quota variabile.
La regola generale, chiarisce Baretta, si deduce da un regolamento (articolo 17, comma 4, del Prototipo di Regolamento per l’istituzione e l’applicazione della Tares) applicabile anche alla Tari con riferimento ai fruitori delle utenze domestiche.
La norma stabilisce che “le cantine, le autorimesse o altri simili luoghi di deposito, si considerano utenze domestiche condotte da un occupante, se persona fisica priva nel comune di utenze abitative.
In difetto di tale condizione i medesimi luoghi si considerano utenze non domestiche“.
In parole povere, sulle pertinenze si applica la Tari come se fossero case, se chi le usa non risiede nel Comune.
Se è residente, si considerano locali accessori all’appartamento stesso.
Consumatori sul piede di guerra
I consumatori sono subito scesi in campo per rivendicare gli esborsi immotivati: il Movimento difesa del cittadino -che da tempo denunciava irregolarità nell’applicazione del tributo- ha deciso di lanciare attraverso i suoi sportelli territoriali la campagna ‘SOS Tari’ per chiedere ai Comuni di indennizzare i contribuenti per le somme illegittimamente versate.
Per aderire basta inviare una mail alle sedi locali: l’associazione si occuperà di verificare gli avvisi di pagamento e inviare l’istanza di rimborso al municipio competente.
Come far valere i propri diritti?
E se invece volessimo agire da soli per la restituzione dei surplus ingiusti, come potremmo muoverci?
Lo abbiamo chiesto ad Antonio Damascelli, presidente dell’Uncat, organismo di categoria degli avvocati tributaristi.
“I contribuenti possono impugnare l’avviso di accertamento del tributo, notificato loro dal Comune, presentando ricorso alla Commissione tributaria provinciale, in cui denunciano la cattiva applicazione della normativa” spiega il legale.
“Il ricorso va effettuato entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso.
Non è sempre facile capire se la tariffa è stata applicata nel modo giusto, dunque, si può procedere con una richiesta al Comune di accesso agli atti amministrativi (come previsto dalla L.241/90).
In questo modo si potrà consultare il proprio fascicolo e verificare i criteri adottati per il calcolo del tributo.
Un’altra strada, sarebbe inoltre impugnare dinanzi al Tar l’intero regolamento comunale relativo alla Tari.
I Comuni, dal canto loro, potrebbero già da ora correre ai ripari modificando in autotutela i propri regolamenti se risultano illegittimi, e le proprie tariffe“.
Una tassa, troppi disservizi
La tassa sui rifiuti è spesso oggetto di pronunce della magistratura che ne chiariscono le modalità di corretta applicazione.
Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione (22531/2017) ha chiarito, ad esempio, che in caso di disservizio grave e perdurante nel tempo nella raccolta dei rifiuti, come accaduto a Napoli nel 2008, la Tarsu (secondo la denominazione dell’epoca), deve essere ridotta al 40%.
Secondo gli ermellini, se la raccolta dei rifiuti non avviene o si dimostra inefficiente, il cittadino ha diritto a uno ‘sconto’ sull’importo da versare, purché il disagio sia certificato dal tribunale.
Appena due mesi fa anche il Consiglio di Stato si era pronunciato sulla Tari (sentenza 4223/2017).
Il secondo grado della giustizia amministrativa ha affermato che la tassa sui rifiuti non può essere più onerosa per i cittadini privi di residenza nel Comune.
Dunque, sarebbe illegittimo anche il criterio che penalizza chi viene da fuori.
Nonostante le varie pronunce in merito, per l’anno che viene la Tari potrebbe subire dei rincari, previsti nel disegno della legge di bilancio 2018.
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